PALERMO – Non si fermavano di fronte a nulla. L’autorità costituita non gli faceva paura. Prefetti, sindaci, commissari, capi di gabinetto: nessuno poteva fermare la protesta dei capipopolo della Gesip.
Oltre ai reati di violenza, minaccia e interruzione di pubblico servizio, la Procura avrebbe voluto contestare ai cinque indagati anche l’associazione a delinquere e la minaccia a Corpo politico e amministrativo. Perché gli indagati sono cinque. Oltre a Giacomo Giaconia, Salvatore Spatola e Francesco Madonia (il primo è stato arrestato e gli altri due sono ai domiciliari) sotto inchiesta ci sono pure Giuseppe Sanseverino e Maurizio Giannotta. Il giudice per le indagini preliminari, allo stato, però, ha escluso alcuni reati. Le indagini vanno avanti perché ci sono tanti altri operai da individuare. Il difficile lavoro degli agenti della Digos prosegue. Va oltre il già delicato compito di fronteggiare la guerriglia urbana scatenata per le strade della città.
Secondo il procuratore aggiunto Leonardo Agueci e i sostituti Sergio Barbiera, Enrico Bologna e Calogero Ferrara gli indagati, avevano creato “una struttura parallela rispetto alle ordinarie organizzazioni sindacali, il cui connotato saliente era costituito dal carattere violento delle forme di protesta attuate”.
Giaconia sarebbe stato il più attivo. Da un lato si candidava a leader della lotta in difesa dei lavoratori distribuendo volantini con l’invito ad “AVERE FIDUCIA A NOI STESSI E NON AI SINDACATI E POLITICI CHE FANNO I LORO GIOCHI. SIAMO STANCHI E VOGLIAMO I NOSTRI DIRITTI”. Dall’altro, avrebbe fatto circolare notizie false per fomentare la piazza, dando una valenza negativa a quegli incontri nel corso dei quali, invece, si erano aperti spiragli nella vertenza dei lavoratori.
I telefoni degli indagati erano intercettati. Nelle loro conversazioni fanno capolino parole che sanno di guerriglia. Ne avevano per tutti. Uno dei loro bersagli preferiti era il liquidatore della Gesip, Giovanni La Bianca. Di lui Giaconia diceva: “chistu ca…avi mali intenzioni chistu i liquidat…o sinni va cu noiatri o puru u ieccamu i ddà ncapo…”. E Spatola non era più tenero: “Perciò ora si pigghia u culu, ra sieggia, puru i libra, e se ne va, perché non è che ha portato niente.. io non so che cavolo me ne devo fare di La Bianca, non mi ha portato niente completamente, ci ho portato tutte cose io, perciò ora se iddu vuole stare ddarintra ava stare sottoposto a mia, picchì i picciuli i ivu a capitare io, pi campare pi tutti”.
Anche Luisa Latella, il commissario che traghettò l’amministrazione dalla giunta Cammarata alle nuove elezioni, era “oggetto” delle attenzioni degli indagati: “Non è che io va cerco i picciuli e tu Latella vuole veniri a cumannari a me casa?… i dieci milioni non li ha portati la signora Latella, li ha portati un liquidatore.. avi a bieniri a cumannari i picciuli, perchè io u vado a cercare rompendogli le palle, mi sembra una cosa un pochettino strana, perciò ci dici o liquidatore che ci convoca subito, lunedì, prima di mettere mano, nni convoca e ..incomp.. parramu nanticchiedda”.
Uno dei picchi della protesta fu certamente l’occupazione dell’ufficio elettorale del Comune in Piazza Giulio Cesare. Era il 2 maggio 2012, pochi giorni prima del voto amministrativo. Non fu un’azione estemporanea. Secondo gli investigatori, c’era un piano dietro. Il 28 aprile Madonia spiegava a Giaconia: “Cumpà… falli arrivare unne vuonnu cumpà… appena iddi un fannu sta delibera… cumpà…faciemu u maciellu cumpà! ma quale poblema c’è”. Giaconia: “… u capisti chi u 4 maggio ca vieni i venerdì… e duminica e lunedì ci sunnu le elezioni… anzi miegghiu e… anzi aviemu u tiempu tra domenica e lunedì… ho capito avremo u tiempu tra domenica e lunedì di irinni a barricare… iddi si fannu le elezioni e nuatri siemu tranquilli?”. Madonia: “… no cumpà… nuatri tranquilli un ci siemu… ma tu pensi ca io stassi accussì tranquillo cumpà?… s’amu a fari u macellu pi mmia u faciemu…”.
La possibile reazione delle istituzioni (“u prifiettu cumpà, viri ca u prifiettu si mette a male riscursi”) non lo spaventava: “… picchì io ci smunto Paliemmu… io ciu rissi…cioè, ni state pigghiannu pu culo? nuatri va mettemo in culo a tutti picchì ora blocchiamo le elezioni… al momento opportuno ni tenemo una quarantina… 50 cristiani e ni amu a barricare unni ricemu nuatri! Cumpà…”.
I sindacati – Cigl, Cisl e Uil – si sono sempre dissociati dalle forme di protesta violenta. Nona caso gli investigatori ne sottolineano i metodi civili della protesta. Metodi non graditi a Giaconia che si sentiva tradito: “ Si nni ieru a prefettura, qualcuno, sinni ieru ddà a questura… io sappi tramite uno.. signor Giaconia, dice, che a lei l’hanno tradito, quacche sindacato ieru nnò questore pi bloccare a lei… e ci arriniscieru, però ciù rissi a iddu… ti pigghiu 500 tessere, vi rugnu a buatri, e vi pigghiate tutti a diffida, tutti o carcere ni nnamu a ghiri, picchì… vi faciemu distruggere Palermo, hai capito caro mio, e mi bloccaru a mia picchì io ai cristiani lo sai bene, ci dico la verità ai cristiani… ddà i cristiani ancuora hanno a mmierda mpiccicata ntè cuorna”.