Lipera sulle orme di De Felice: “A Catania serve una rivoluzione

Lipera sulle orme di De Felice: “A Catania serve una rivoluzione”

Un progetto che vale quanto un passaggio di testimone generazionale.

CATANIA – Ripartire da un circolo cittadino e dedicarlo a Giuseppe De Felice Giuffrida, il sindaco di Catania, scomparso nel 1920, che ha legato il proprio nome a quarant’anni di vita politica nazionale. Il viceré socialista. Il leader dei Fasci dei siciliani. Il braccio destro di Leonida Bissolati. Si tratta di un progetto amarcord. O forse di qualcosa in più. “Un gruppo di ragazzi, capitanati da mio figlio Alessandro, ha avuto questa idea: li appoggerò perché ci credo”. Parla Giuseppe Lipera, l’avvocato interprete di tante battaglie civili e politiche della vita etnea. E disegna una sorta di passaggio di testimone. Consegnando al più piccolo dei quattro figli l’idea di riportare in vita la suggestione del Movimento popolare catanese 

Lipera, perché rievocare oggi De Felice Giuffrida?

“È stato il più grande sindaco della storia catanese. Se, dopo cento anni, è ancora ricordato un motivo ci sarà. Non fosse altro che ebbe il coraggio, nel momento in cui i panettieri avevano alzato i prezzi, di aprire il panificio comunale in via D’Amico e sfamare i più poveri”.

Rischiamo di tornare a una situazione simile a causa della guerra in Ucraina?

“Speriamo di no. Ma la sua impostazione resta valida. Socialista, sul versante nazionale; leader del Movimento popolare, sul versante locale. Nella soluzione dei problemi della città non credeva ci fossero destra e sinistra. In fondo, me lo lasci dire, ancora oggi sostituire la lampadina di via Belfiore non ha colore”.

Si riferisce alla famosa lampadina di via Belfiore?

[ride] “Sì, alla famosa lampadina di via Belfiore”.

Quello è l’unico problema di Catania?

“Catania oggi è allo sfascio. Non si può camminare, ci sono buche ovunque. C’è poi il grande problema della spazzatura. Insomma, tutti problemi che non stanno né a destra e né a sinistra”.

E dove stanno?

“Guardi, i partiti non ci sono più o, se ci sono, hanno fallito. Le ultime sindacature lo hanno dimostrato. È il momento di far scendere in campo gente non legata ai partiti”.

Avvocato, lei citava suo figlio, che però è un dirigente della Lega di Salvini: come la mettiamo?

“A livello nazionale si può essere leghisti, fascisti, comunisti o tifosi del Milan. Se parliamo di referendum sulla Giustizia è chiaro che affrontiamo un tema nazionale. Nella città, però, l’unico ideale a contare è quello di chi vuol far stare bene i propri concittadini, soprattutto se provenienti dai quartieri popolari, dove troppo spesso si vive abbandonati a se stessi”.

Ritiene che il repubblicano Enzo Bianco, in un certo qual modo, possa essere considerato l’erede di De Felice Giuffrida?  

“Ma finiamola! De Felice non avrebbe mai fatto costruire quella fontana al Tondo Gioeni: uno spreco di soldi incredibile! Una bestemmia!”

Chi potrebbe essere l’erede?

“Magari in giro ce ne stanno tanti, chissà. Se ci sono, devono svegliare la propria coscienza e capire che devono occuparsi della Città. Noi, ormai, abbiamo fatto il nostro tempo. Non ci resta che inculcare nella testa dei giovani questa spinta volitiva”.

Negli anni Novanta, il Movimento popolare fece capolino nelle Amministrative catanesi. Che ricordo ha di quei giorni?

“Era il 1993 e divenni consigliere comunale per volontà di Dio e di Enzo Tortora. Avevo fondato il Movimento, assieme ad artisti, operai e altri volenterosi, e non sapevo neanche dove fosse il Municipio”.

Poi lo ha scoperto?

“Guardi, la sola lista prese mille voti. Dopodiché mi fermai perché morì mio padre e mi son dedicato esclusivamente alla professione. Insomma, dovevo pur sopravvivere. Ultimamente, mio figlio minore ha deciso di studiare quella stagione per poter andare oltre. Stavolta non c’è la volontà di rifondare il Movimento popolare catanese, ma di far qualcosa che sia comunque legata a De Felice, già nel nome e nel simbolo”. 

Perché puntare all’uomo e non all’ideale social-riformista?

“Perché morì con soltanto due soldi in tasca. Anche per questo al suo funerale c’erano centomila catanesi. Centomila”.

Eccetto gli appassionati di storia patria, in pochi però ne conoscono l’epopea politico-amministrativa. Che idee avete per promuoverla?

“Sicuramente delle manifestazioni culturali e non solo”.

Volete rendere quella di De Felice una figura iconica alla stregua di un Che Guevara in salsa catanese?

[Ride] “Non so se sia proprio quello il modello esatto, ma una cosa è certa: Catania ha bisogno di una rivoluzione. Non si può andare avanti in questa maniera”.  


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