Lo so che si capisce che non è solo un cumulo di rifiuti e che sotto c’è una persona. Però ti devi sforzare. E’ un uomo. “Si che è vivo” mi dicono alcuni ragazzi che giocano a pallavolo a qualche metro di distanza. Lo sanno perché lo hanno visto muoversi una mezz’oretta fa. Qualcuno è più informato. Sta lì da una quindicina di giorni.
No, non mi sono spiegato. Sta proprio lì, proprio sulla panchina, da una quindicina di giorni. Non si muove. Uno dice che ogni tanto si alza e va a sedersi nella panchina che gli sta di fronte, giusto un paio di minuti, per sgranchirsi. Poi torna in posizione supina, avvolto nella sua coperta. Vengo a sapere che indossa tre felpe, di quelle pesanti. Mi domando quale oscuro meccanismo gli abbia impedito di liquefarsi o vaporizzarsi con la temperatura che abbiamo. C’è un liquido giallo in una delle tante bottiglie di plastica. E non è vino.
Una donna mi dice che è una persona conosciuta dalle organizzazioni di volontariato che la notte vanno in giro per la città, a distribuire generi di conforto ai vari barboni. Lui, prende, ma non consuma. Conserva. Forse per i piccioni. Pare che sia un giovane di buona famiglia e che sia andato fuori di testa per via di una donna che lo ha lasciato. E’ impazzito d’amore.
La suggestione è troppo forte per me. Provo ad avvicinarmi, con cautela. Non è paura la mia. Se è impazzito per amore non può farmi del male. E’ una teoria scientifica che elaboro all’istante. Non so neppure se è cosa farò quando sarò abbastanza vicino. Ma provo a farlo. Il lezzo che lo circonda è però insopportabile, nauseabondo. Mi allontano. E poi, sta lì da una quindicina di giorni. Ormai fa parte del paesaggio.