PALERMO – Ergastolo per Salvatore Lo Piccolo. Ergastolo per Salvatore Liga. Ci sono due colpevoli per l’omicidio di Calogero Di Bona. La sentenza della Corte d’assise di Palermo strappa, definitivamente, all’oblio una vicenda rimasta per troppo tempo dimenticata.
Di Bona, maresciallo della polizia penitenziaria dell’Ucciardone, uscì di casa una sera di fine agosto del 1979. E non vi fece più ritorno. Solo l’ostinazione dei figli della vittima ha consentito di riaprire il caso. In particolare di Giuseppe Di Bona che aveva appena 6 anni quando smise di potere guardare il padre negli pochi.
Giuseppe ha cercato il papà ogni mattina al risveglio. Nel frattempo è diventato adulto. Poi un giorno, cliccando su un motore di ricerca, trovò un vecchio verbale del collaboratore di giustizia Gaspare Mutolo. Lo consegnò agli avvocati Fabio Lanfranca, Oriana ed Emanuele Limuti che chiesero la riapertura delle indagini. Oggi l’avvocato Lanfranca, appena letto il verdetto, è ai familiari del maresciallo che rivolge il suo unico pensiero: “E’ merito loro, non c’è altro da aggiungere”,
Mutolo, killer al soldo di Totò Rina e Saro Riccobono, il 7 giugno 1994, chiamò in causa Salvatore Lo Piccolo, che di Riccobono, boss di Partanna Mondello, era stato l’autista. Il capomafia di San Lorenzo, che allora iniziava la sua ascesa criminale, avrebbe avuto un ruolo nella lupara bianca che inghiottì Di Bona, vicecapo dei secondini del carcere palermitano. Nel carcere romano di Rebibbia si stava celebrando un’udienza del processo a Bruno Contrada, l’ex capo dei servizi segreti, e Gaspare Mutolo disse al pubblico ministero Antonio Ingroia: “Io so, nell’81, in un discorso che io c’ho con Riccobono per altri discorsi, di un omicidio di un certo Di Bona, il maresciallo degli agenti di custodia, che Salvatore Lo Piccolo se lo va a prendere”.
L’anno scorso sono stati sentiti altri collaboratori di giustizia. Ai magistrati è toccato ascoltare l’agghiacciante ricostruzione di un delitto. “Lo Piccolo Salvatore, uomo d’onore della famiglia di Tommaso Natale, sapendo che Di Bona frequentava un bar ristorante sito nella piazza di Sferracavallo lo avvicinò e lo condusse con un pretesto presso il fondo di Tatuneddu, così era soprannominato Salvatore Liga. Erano presenti, oltre a Liga, Salvatore MIcalizzi e Lo Piccolo, anche Bartolomeo Spatola (anche lui sarebbe stato ammazzato), il fratello Antonino e Rosario Riccobono”. Tutta gente morta tranne Lo Piccolo e Liga.
Gaspare Mutolo aggiunse i particolari di quella riunione di morte in un casa di fondo De Castro, allo Zen: “Riccobono chiede a Di Bona notizie sulla situazione carceraria ed in particolare sugli autori delle lettere anonime con le quali si insultavano i mafiosi”. Il riferimento era alle missive, probabilmente scritte da un secondino, con le quali la Procura veniva avvertita che in carcere i mafoosi facevano la bella vita,. Poi, “gli si pose una corda al collo”. Gaetano Grado ha concluso il racconto dell’orrore : “Quando l’indomani a noi andiamo allo Zen mi hanno raccontato solo che era tutto apposto e che il lavoro fatto da Tatuneddu Liga… quando c’era di bisogno di strangolare qualche persona… diciamo che quasi quasi si facevano sempre da Tatuneddu Liga, perché poi lui gli scioglieva nell’acido .. omissis… mi hanno detto che l’hanno messo dentro il forno di Tatuneddu Liga, il forno, un forno dov’è che si .. lui faceva il pane…”.
Furono gli agenti della Dia a scovare due anni fa il forno della morte in un terreno abbandonato nella zona di città Giardini. Un riscontro decisivo per i pubblici ministeri Lia Sava e Francesco del Bene, coordinati dall’aggiunto Vittorio Teresi.