PALERMO – “La Regione va commissariata”. Uno degli ultimi squilli di tromba porta la data del diciotto febbraio. Il trombettiere è Leoluca Orlando, sindaco di Palermo, uno che si rottama da solo. Gli altri insistono sul suo ingombrante passato, lui è convinto di avere un mirabolante futuro e di essere il ‘sempreverde’ in grado di dare la paga ai presunti giovani. E’ stata questa concezione Orlando- centrica a fornire al suo portatore la forza di prendere tutti gli autobus utili. Malcapitati coloro che condividono il viaggio. Malcapitata, per esempio, Rita Borsellino che fu accompagnata da ‘Luca’ in una celebre camminata su un mezzo dell’Amat ed era certa di avere al fianco un prezioso alleato, non il carnefice politico che ne avrebbe scompaginato i piani, fino a diventare di nuovo primo cittadino, in capo a una brillante guerra lampo. Così – immaginavano facili profeti – sarebbe stato. E così fu. Per cui la domanda: “Che vuole fare Leoluca Orlando da grande” non deve apparire né oziosa, né temeraria.
Per tentare di comprendere cosa farà, bisogna interpretare quello che sta facendo, impresa non facile nell’ermeneutica leoluchiana. L’uomo è un politico scaltro, avvezzo a mimetizzare i suoi veri intenti sotto tonnellate di nonsensi e cortine fumogene. Non per niente ha studiato filosofia in Germania. Non per niente è un bravissimo e pluripermiato attore (in Germania) molto dotato nell’arte di saper stare sulla scena, nascondendo l’ombra. Gli indizi non sono una prova, ma aiutano. E dagli indizi appare una traccia: il sindaco Orlando vuole andare a Palazzo d’Orleans, da presidente della Regione. Considera l’esperienza di Crocetta ormai alla frutta, checché ne pensi Giletti. Perciò si prepara all’ennesima guerra lampo, attraverso una serie calcolata di micro- guerre per saggiare possibilità e campo da gioco. E quando ‘Luca’ comincia a giocare pesante, guarda in casa sua, ai suoi odiatori, a coloro che lo considerano un riflesso del diavolo nell’acquasantiera, ai nemici del Pd (già Pds, già Ds). E’ uno scontro calcolato che nasce proprio dalla specialità del soggetto: la cannibalizzazione dei vicini, più che la faida (ovvia) con i lontani.
Nel mirino innanzitutto c’è Fausto Raciti, implume segretario pidino, il primo boccone da mangiare. La rassegna stampa è a disposizione degli scettici: “Le primarie con l’elezione di Matteo Renzi a segretario del Pd e leader di un campo largo alternativo alle caste in Sicilia sono state archiviate con l’invito esplicito del candidato Raciti che ha chiesto di partecipare alle primarie del 16 soltanto coloro che hanno votato Pd. Una dichiarazione certamente coerente per un candidato paracadutato in Sicilia e imposto da apparati, desiderosi di perdere ancora una volta elezioni pur di non perdere ruoli e apparati” (12 febbraio).
“La candidatura di Raciti alla segreteria regionale è stata in fretta e furia paracadutata e imposta dagli apparati in ossequio al mantenimento di logiche inaccettabili. Il Pd rischia così di continuare a perdere in Sicilia e nell’intero Paese le elezioni, attento soltanto ad autogarantire poteri e posti per esponenti troppo spesso privi di consenso. Le dichiarazioni del candidato Raciti, che vorrebbe le primarie riservate solo agli elettori del Pd, rappresentano un’ulteriore conferma di preoccupata chiusura ai non iscritti e evidente subalternità a logiche di apparati” (14 febbraio). “Gli apparati si autoconservano e gli elettori disertano le primarie del Pd. Davanti i gazebo delle primarie oggi in Sicilia appaiono lontane anni luce le file di elettori del centro sinistra convinti appena poche settimane fa che potesse il Pd essere il riferimento per la costruzione di un campo largo, al di là di logiche di casta e di apparati. La confusione politica nazionale in Sicilia si somma al permanere di una dirigenza che da oltre 10 anni pur di conservare scampoli di potere ha condannato il centro sinistra alla sistematica sconfitta elettorale” (16 febbraio).
Il mantra è ossessivo e si traduce così: “Attento, questi ti fanno perdere la faccia e le elezioni. Questi le elezioni (e la faccia) l’hanno persa in ogni occasione. Attento: ti conviene affidarti a costoro? Cerchi un rottamatore in salsa siciliana? Io lo sono stato ben prima di te. Io sono il detentore del copyright della rottamazione”. Dove, l’oggetto della immaginaria e verosimile missiva sarebbe il neo-premier Matteo Renzi, blandito con una contrapposizione congressuale (col sostegno a Lupo piuttosto che al candidato crisafulliano-renziano) che nasconde il sogno di un incontro. E’ la tattica periodica del dominus di Palazzo delle Aquile: perché cercare uno strapuntino nell’affollata barca renziana, elemosinando qualcosa? Il potere si costruisce con la forza. La forza si edifica con gli schiaffoni, con la sfida. Nell’Orlando-pensiero l’interlocutore che ha in mano le carte migliori deve essere trattato alla pari, senza timidezze, anzi con la spregiudicata messinscena di una condizione di superiorità. Un giorno, quando avrà bisogno di un personaggio da spendere, il padrone del gioco scanserà servi e cortigiani che gli affollano la barcaccia e cercherà altrove la sua punta di diamante…
‘Saggiato’ il Pd, – nei piani che si intravvedono – la preda sarà subito Crocetta. Facile preda. Il governatore è sfiancato dalle contraddizioni del suo operato. Bacchettate sulla Finanziaria. Bacchettate sulle Province. Dietro lo scintillio degli annunci crocettiani già spuntano le macerie di un fallimento colossale. E chi sarà il prode destinato a combattere contro la destra del ringalluzzito Musumeci? Se lo chiedete a Leoluca Orlando vi dirà di no, che lui non è appassionato dal progetto, che non gliene frega niente, che il suo sogno è scrivere libri da qualche parte, che Palermo è sempre Palermo, il suo partito. E pazienza per i crolli, gli ostacoli e il sensibile calo di carisma. Vi dirà di no, Luca, con la sua magnifica faccia da attore, tra una citazione di Goethe e una cartolina di Hillary Clinton. Poi, zitto zitto, si acquatterà alla fermata, in attesa dell’autobus giusto.