PALERMO – Lucio Lutri resta in carcere. Il Tribunale del Riesame respinge l’istanza di scarcerazione dell”insospettabile funzionario regionale accusato di concorso esterno in associazione mafiosa. Si sarebbe messo a disposizione dei mafiosi di Licata per piccoli e grandi favori.
In carcere rimane anche Giacomo Casa, il suo principale riferimento nella cosca agrigentina. Sono due dei sette arrestati del blitz di inizio agosto. Su delega della Dda di Palermo i carabinieri del Ros e del comando provinciale di Agrigento hanno spiato Lutri, dipendente dell’assessorato regionale all’Energia, ed ex maestro venerabile della loggia “Pensiero e azione”. Nelle conversazioni registrate Lutri usava spesso parole dai toni durissimi. Nel corso dell’interrogatorio ha negato di averle pronunciate.
Le indagini vanno avanti. Lutri sarebbe stato l’uomo chiave di una serie di investimenti pianificati dal clan mafioso di Licata guidato da Giovanni Lauria, soprannominato “il professore”. Un capitolo delle indagini riguarda l’Ismea. All’Istituto di Servizi per il Mercato Agricolo Alimentare si sarebbe verificato un intreccio di interessi fra mafiosi e massoni.
Degli affari si iniziò a parlare nel 2016. Già allora emergeva la figura di Renato Vecchioni, avvocato ed ex legale dell’Ismea. Sarebbe stato Vecchioni il professionista a cui si era rivolto Lutri per mettere a posto la questione dei debiti di Giovanni Mugnos, il quale doveva restituire 40 mila euro all’Istituto.
“… abbiamo dei progetti grossi”, diceva Vecchioni. “… in tutta la Sicilia… l’importante è l’unione”, aggiungeva Lutri. Chi altro era informato dei progetti? I due facevano riferimento ad un altro dipendente regionale: “… io vorrei che tu ti cominciassi a vedere bene che dobbiamo fare noi… okay? – spiegava Vecchioni – però prima vorrei farti conoscere questo signore… che è un grosso funzionario della Regione…”. Qualcosa Lutri sapeva già: “… è a Catania… il suo factotum è a Catania…”.