PALERMO – Duecentoquaranta mila euro. Sessanta mila per ogni anno di detenzione. Quasi come fosse un contratto da rispettare. Vincenzo Graziano era in carcere a scontare una condanna per mafia. Pochi mesi prima del fine pena, i nipoti si preparavano al suo ritorno. Facevano soprattutto il conto dei soldi che avrebbero dovuto dare allo zio. A conferma, dicono i pubblici ministeri, che Vincenzo Graziano sarebbe il perno di un ingranaggio di interessi economici. L’ultimo dei quali è stato smascherato con l’operazione Apocalisse. Secondo i pubblici ministeri, Vincenzo Graziano, dopo avere finito di scontare la condanna per mafia, sarebbe diventato il regista del business delle slot machine e delle scommesse on line. Considerato affiliato alla cosca di Resuttana, con l’aiuto di una sfilza di parenti, avrebbe messo in piedi l’affare delle macchinette mangiasoldi imposte da Cosa nostra in mezza città.
Quando qualcuno finisce in carcere c’è chi deve prendersi cura delle esigenze economiche del detenuto e dei suoi familiari. E’ la regola di Cosa nostra. Nel caso di Vincenzo Graziano sarebbero stati i parenti che portano il suo stesso cognome ad accollarsi le spese. E non si tratterebbe solo di legami familiari, ma anche economici. Nel settembre 2011, all’interno dell’ufficio di una società immobiliare palermitana, i fratelli Camillo (classe ’67) e Massimiliano Graziano (indagati per la vicenda delle macchinette ndr), alla presenza del padre Domenico, discutevano di denaro: “Am ventisei, Mascari sette e cinque, Euroscavi sette, Cannia cinque, Sciacca ottomila euro, Golf cinquemila e cinque, Corrao quattro e nove, Cutropi duemila e quattro, la cambiale di Santo duemila euro, cambiale condominio quattromila euro, lavori condominio sedicimila e cinque ma già questi stiamo parlando sei ed undici però lo mettiamo come… Ciccio diecimila euro, paghe e contributi dieci, non sono dieci ma ci saranno altri annessi e connessi, e contratto gas quattromila e cinquecento…”.
Si preparavano al ritorno in libertà dello zio: “… io pensavo questo… io l’altra volta, gli avevo scritto su centottanta che gliene avessimo potuto dare… perché è il terzo anno questo, perché ora alla fine dell’anno… Sessanta, sessanta e sessanta, io ne ho uno di cinquantuno e sette che arriva… più i cinque che gli avete dato voi, cinquantasei e sette… Questi sono due e quaranta. Quindi che significa? Che noi al 2011, finendo tutto il 2011, gli avremmo dovuto dare centottanta, è giusto? Io che ci scrivo, vedi che su centottanta che saranno da qui a fine anno, noi altri fino ad ora gliene abbiamo dati centodieci, quindi abbiamo ancora tre mesi che… siamo… siamo in ritardo, è chiaro perché 5 mesi… però mancano tre mesi, ancora gli dovremmo dare settantamila. Noi dobbiamo dargli altri cento trentamila euro. Questo è il mio programma nella testa, poi vediamo quello che succede”.
Gennaio 2012 è la data di scarcerazione di Vincenzo Graziano. Bisognava sbrigarsi a saldare il conto. Mancavano all’appello 130 mila euro e i parenti del detenuto iniziavano a mormorare. “Non trascurabile risulta l’importo totale, pari a 240.000 – si legge nell’ordinanza di custodia cautelare – ossia 60.000 per ogni anno di carcerazione effettiva (4 anni), prestabilito quasi fosse un contratto, che indica il carattere tassativo delle dazioni, nulla aventi a che fare con uno spontaneo sostegno di solidarietà tra parenti”.
L’esistenza dell’intreccio di interessi economici fra i fratelli Graziano emergerebbe da una conversazione successiva, registrata nell’ottobre dello stesso anno, tra Vincenzo Graziano, la moglie Giuseppa e i figli Francesco e Camillo (entrambi sono finiti in carcere nel blitz Apocalisse ndr). Francesco era nervoso. Ce l’aveva con lo zio e i cugini. Chi stava scontando la pena era solo il solo padre: “Sono furbi, va bene, ho capito pà, ho capito, me lo hai detto anche la prima volta che sei uscito, ora sei di nuovo qua, appena lo dici queste cose le so… E corro per te, come devi correre per me!. Ma no che tu mi devi prendere mille lire, mi devi dare quelle mie! Io non ne voglio da nessuno, io voglio i miei soldi, a me non ne ha prestati mai nessuno..”.