Azzerata la "cupola"| degli autotrasportatori - Live Sicilia

Azzerata la “cupola”| degli autotrasportatori

Sono 23 gli arresti dei Carabinieri del Ros. TUTTI I NOMI DEGLI ARRESTATI

CATANIA – Si chiama Caronte la retata dei Ros che ha portato in cella 23 persone e al sequestro un tesoro di 50 milioni. Il nome del trasportatore dantesco serve ad evidenziare come le radici di Cosa nostra catanese si erano radicati soprattutto nel settore della logistica marittima. E non solo: anche distribuzione delle carni ed edilizia.

Le indagini del Ros scattano una fotografia drammatica: se le accuse saranno confermate vuol dire che le mani della famiglia Santapaola Ercolano hanno controllato per anni i mercati dei trasporti, e questo gli ha permesso di accumulare ricchezze illecite di enorme valore. Patrimoni creati a Catania, Palermo, Messina ma anche a Napoli, Mantova e Torino.

E’ stata analizzata l’evoluzione della “famiglia” anche dopo le inchieste Dionisio, Nemesi, Iblis ed Efesto. Un contesto che abbraccia anche lo storico assestamento del 2009, quando ci si stava preparando alla guerra con i Carateddi, poi sventata dal blitz Revenge. La retata ha colpito il potere finanziario della cosca, assicurando alla giustizia anche familiari e prestanome. Ancora una volta – secondo la Procura – i Santapaola Ercolano hanno “una forte vocazione imprenditoriale” e sono riusciti con la collusione di colletti bianchi e politici a “infiltrarsi” nei settori cruciali dell’economia siciliana.

Vincenzo Ercolano era lo “stratega” nel settore del trasporto. A supportarlo sarebbero stati gli imprenditori affiliati Francesco Caruso e Giuseppe Scuto, che secondo i Ros “hanno svolto un ruolo centrale”.

Caruso, prima schierato nelle file degli imprenditori legati ai Riela almeno a partire dagli anni ‘90, sarebbe poi transitato con la famiglia Santapaola Ercolano. La data cristallizzata dai Ros del “passaggio” è il 2004. Gli investigatori citano un particolare episodio in cui è coinvolto l’imprenditore; nel 2006 Caruso era alla guida della sua moto con Giuseppe Scuto quando è stato colpito da due proiettili esplosi da una calibro 38 da un sicario che era in sella da una moto con un complite. L’imprenditore, oggi arrestato, riportò ferite lievi. Caruso e Scuto “intrattenevano , con disinvoltura – scrivono gli inquirenti – rapporti con mafiosi e politici, tra cui Cristaudo e Lombardo (entrambi coinvolti e condannati in primo grado per l’inchiesta Iblis)”. Addirittura i due arrivano a costituire un partito, il PNA, che serviva a preservare i propri interessi. Caruso era il segretario politico e Scuto il presidente. Nelle elezioni europee del 2009, attraverso Cristaudo, il PNA si metteva a totale disposizione – secondo gli investigatori – dell’allora presidente della Regione, Raffaele Lombardo. In quella campagna elettorale furono utilizzati proprio i camion aderenti al PNA. Caruso per il pagamento dovette ricorrere ad un decreto ingiuntivo nei confronti dell’Mpa di oltre 170 mila euro.

Caruso sarebbe anche stato l’intestatario fittizio dei Servizi Autostrade del Mare. Qui avrebbero avuto occulti interessi – secondo il Ros – Vincenzo Ercolano, Enzo e Alfio Aiello. Era stata stipulata con la società Amadeus Spa riconducibele a Amedeo Matacena un contratto di affitto di tre navi, per un costo complessivo di 120 mila euro al mese, per i collegamenti dalla Sicilia alla Calabria. Il traghettamento funzionò per 90 giorni con ottimi risultati tra il 2005 e il 2006, ma per alcune ragioni estranee all’indagine, l’operazione si interruppe con consistenti danni per la Servizio Autostrade del Mare. Nei trasporti marittimi, grazie alle “interlocuzioni” con Lombardo e Cristaudo sarebbero riusciti ad ottenere anche limitazioni al maggiore concorrente, l’armatore Grimaldi dall’autorità portuale di Catania.

Resta il trasporto, dunque, il “regno” incontrastato dei Santapaola Ercolano. E qui la mente criminale sarebbe Vincenzo Ercolano, titolare al pari di suo padre Giuseppe, di imprese di notevole dimensioni. Per accrescere i propri affari “avrebbe utilizzato la forza intimidatrice” del suo cognome. Un potere creato – secondo gli investigatori – attraverso alleanze eccellenti della criminalità organizzata anche palermitana, e con imprenditori “presumibilmente collegati” alla mafia agrigentina. Giovanni Pistoia, della famiglia Belmonte Mazzagna, uomo di fiducia di Bernardo Provenzano, e Pietro Virga, di cui Ercolano sarebbe socio occulto. Questo solo per fare alcuni nomi.

Cosa nostra sarebbe riuscita attraverso la creazione di consorzi ad incentrare il controllo anche per percepire il cosiddetto ecobonus. I due imprenditori affiliati non si sarebbero lasciata sfuggire questa occasione di guadagno ed avrebbero anche contattato amministratori e politici per accelerare le pratiche.

Il controllo delle vendite della carne sarebbe avvenuto, invece, tramite accordi e l’intestazione fittizia di alcune società all’imprenditore calabrese Giovanni Malavenda. Diretto il coinvolgimento di Vincenzo Aiello, il referente provinciale della cosca, e anche del fratello Alfio. I “picciotti” di Aiello avrebbero continuato ad operare anche dopo l’arresto del loro capo “intessendo rapporti con altri esponenti nell’organizzazione e impegnandosi anche in attività di estorsione e di controllo nella vendita di carne nella grande distribuzione”. Gli interessi dell’organizzazione criminale sarebbero stati garantiti da Carmelo Motta gestore delle macellerie negli hard discount Fortè e Malavenda per gli Eurospin Sicilia.

Mani anche sull’edilizia: qui avrebbero operato Michele e Francesco Guardo. Ai due sono stati sequestrate delle aziende e quote di partecipazione in società che realizzano unità abitative in regime agevolato di convenzione edilizia.

Il patrimonio sequestrato, stimato in 50 milioni di euro, comprende 31 imprese e beni strumentali, tra cui abitazioni, ville, capannoni, 2 cave e mezzi d’opera, 7 immobili e 4 auto.

 



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