RANDAZZO (CATANIA) – È slittato al 24 luglio il giorno del verdetto per Turi Sangani e i presunti componenti del clan mafioso di Randazzo, legato a doppio filo – così sostengono la Dda, i carabinieri e i collaboratori di giustizia – con il clan Laudani di Catania. Ieri pomeriggio in aula è stato il giorno dell’arringa del legale del presunto boss.
Dinanzi al Tribunale collegiale presieduto da Salvatore Palmieri, l’avvocato Luigi Zinno, ha parlato per oltre due ore illustrando tutti gli elementi in virtù dei quali, Sangani, per la difesa, va assolto con formula piena. L’accusa per Sangani ha chiesto 30 anni, ritenendolo il capo di un gruppo satellite dei cosiddetti “mussi i ficurinia”.
Le accuse e la tesi difensiva
L’accusa principale è associazione a delinquere di stampo mafioso aggravata dall’aver diretto, promosso e organizzato il clan. La stessa pena è stata chiesta dall’accusa, rappresentata ieri in aula dal pm Alessandro Sorrentino, per il figlio di Sangani, Francesco. Quindici anni invece sono stati chiesti per Michael. Il prossimo 24 luglio sono in programma le repliche della Procura.
L’avvocato Zinno, nel corso della sua arringa, ha ricordato come i precedenti di Sangani risalgano a oltre 20 anni fa e per la difesa non sussistono né l’accusa di associazione mafiosa né di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti. Nel corso dell’inchiesta, anche durante il periodo di detenzione, Sangani non si è mai sottoposto a interrogatorio.
Sangani non ha mai parlato, né con la Procura né con il gip. Ha finito di scontare la sua pena e le accuse, per la difesa, non sussistono. Nelle precedenti udienze si erano svolte le arringhe degli altri difensori. L’avvocato Zinno difende anche i figli del presunto boss Turi Sangani.
Cosa Nostra e gli affari tra droga e pizzo
Nel corso del processo è emersa l’ingerenza della mafia a Randazzo. Storie di imprese nella morsa del racket, vagonate di droga in giro per le strade e l’imposizione di un potere sanguinario, opprimente e iniquo. Cosa Nostra qui segue un modello che i Santapaola-Ercolano hanno esportato in mezza Sicilia.
Un cliché, quasi una specie di franchising criminale. E non cambia nulla, ovviamente, se il referente diretto non si chiami Santapaola ma Laudani. Il clan Sangani è uno dei gruppi che storicamente comandano in città.
L’ascesa di Turi Sangani secondo l’accusa
Secondo gli inquirenti, in pratica, vista la prolungata detenzione di Oliviero Sangani, a comandare sarebbe stato suo fratello Salvatore, uscito dal carcere nel 2008, con i due figli Francesco e Michael, e con l’aiuto del nipote trentaquattrenne Samuele Portale.
Turi Sangani, in sostanza, per l’accusa sarebbe divenuto il capo, assumendo un ruolo importante, in grado di fargli sentire addosso i ranghi del capo e pretendere obbedienza. In un’intercettazione avrebbe detto: “Io non mi devo bisticciare con nessuno… si fa come dico io e basta!”. L’inchiesta è stata coordinata dal sostituto procuratore Assunta Musella e dal procuratore aggiunto Ignazio Fonzo.