CATANIA – Imputati erano esponenti di tre dei più potenti gruppi organizzati della mafia catanese. E le condanne sono pesantissime, salvo sconti in appello e una clamorosa assoluzione, quella del boss del clan Cappello Salvatore Massimiliano Salvo, che qui ne esce per non aver commesso il fatto: in quegli anni era al 41 bis.
Sono state depositate le motivazioni della sentenza Camaleonte, con cui la Corte d’appello di Catania ha ridotto le pene che erano state inflitte dal Gup. A emetterla è stata la terza sezione penale, presidente Carmela La Rosa, consiglieri estensori Anna Maggiore e Paolo Corda.
Che i vari gruppetti della galassia criminale che porta il nome del clan Santapaola-Ercolano fossero autorizzati a scendere a patti, a fare accordi e a co-gestire i traffici assieme a esponenti del clan Cappello, è noto da tempo. Qui però era un’organizzazione strutturata.
Da una parte c’era un potente personaggio di Cosa Nostra come Mario Strano, attivo a Monte Po. Dall’altra uomini del clan Cappello. I carateddi di Sebastiano Lo Giudice. I Salvo “senza Salvo” (in galera) sono Luca Santoro, Giovanni Pantellaro e Salvatore Arcidiacono. Tutti assieme appassionatamente, ma ognuno “a so casa”.
L’assoluzione di Salvo u “carruzzeri”
L’assoluzione di Salvatore Massimiliano Salvo, che è difeso dall’avvocato Giorgio Antoci, è arrivata con formula piena. La difesa del figlio di “Pippo u Carruzzeri” aveva prodotto una serie di motivi di appello, uno dei quali anche legato a quel colpo di teatro di Salvo di alcuni anni fa, quando con una lettera si “dissociò” della mafia.
Lo fece alcuni anni fa, Salvo, come se il sistema giudiziario fosse tornato indietro agli anni di piombo. Come se i mafiosi fossero dei terroristi. Non ci pensa neppure, Salvo, a pentirsi. Però si gioca la carta della dissociazione, prova a dire che non c’entra niente. Peccato che lo fa solo a parole. Nulla di concreto.
Assolto perché al processo Camaleonte gli si contestava un’accusa che non poteva aver commesso. Aveva un alibi di ferro: era al 41 bis. Un paio di comunicazioni avute con la moglie, che poi aveva incontrato alcuni suoi sottoposti, non significano niente. Questo ha detto la Corte: se non ci sono prove che ha ordinato qualcosa dal carcere, il resto sono congetture.
La condanna di Mario Strano
In appello è scesa a 16 anni e 4 mesi la pena inflitta a Mario Strano. Elemento di spicco del clan Santapaola, Strano è la figura centrale dell’inchiesta. Fu proprio la sua volontà camaleontica di trasformazione, di adattamento, la creazione di un progetto comune agli altri clan, a dare il nome all’operazione Camaleonte.
Gli altri, come detto, sono Pantellaro, che ha preso 8 anni in appello in virtù del concordato, poi i fratelli, appartenenti ai “carateddi”, Concetto e Simone Bonaccorsi, per cui le pene sono state rispettivamente di 14 e 9 anni.
Il concordato
Le pene ridotte in virtù del concordato hanno riguardato Alfio Carmelo Anastasi, che prende 3 anni 4 mesi 20 giorni e 12.000 euro di multa, Salvatore Arcidiacono 6 anni, Concetto Bonaccorsi 14 anni, Simone Bonaccorsi 9 anni, Salvatore Castorina 6 anni, Giovanni Crisafulli 16 anni, Cristopher Michele Cuffari 9 anni e 4 mesi.
Poi Giuseppe Culletta 7 anni, Salvatore Culletta 14 anni, Concetto Di Maggio 13 anni, Andrea Alessandro Fusto 8 anni, Giovanni Geraci 6 anni e 8 mesi di reclusione, Giuseppe Grasso 8 anni, Alfio Gresta 6 anni, Antonino Guardo 8 anni, Massimiliano Lizzio 8 anni, Lorenzo Cristian Monaco 8 anni, Massimo Palazzo 11 anni.
E ancora Carmine Romano, 9 anni e 4 mesi; Anna e Giuseppa Russo, Concetta Strano e Davide Schillaci, 7 anni; Vincenzo Salamone, 8 anni 10 mesi e 20 giorni; Fabio Santoro 10 anni e 8 mesi; Luca Santoro, 16 anni; Paola Strano 1 anno e 4 mesi (pena sospesa), Orazio Sebastiano Tucci 2 anni 8 mesi e 20.000 euro di multa.
La sentenza
Oltre a Salvo sono stati assolti Andrea Giuffrida, per non aver commesso il fatto; e Nunzio La Torre, perché il fatto non sussiste. Oltre che per Mario Strano, come detto, la pena è stata rideterminata senza alcun concordato anche per altri due imputati, Luigi Scuderi, 16 anni 9 mesi, e Goffredo Francesco Treccarichi Scauzzo, 15 anni e 4 mesi.
I giudici d’appello hanno confermato infine le condanne di primo grado per Fabio Berti, che ha preso 8 anni, Giuseppe La Placa, che ha preso 11 anni e 8 mesi, Celeste Millan e Giuseppe Sottile, che hanno preso 2 anni, e Nicolò Sottile, 2 anni e 8 mesi.