CATANIA – Qualcuno ha minacciato l’uso delle armi nel quartiere Zia Lisa: è stata una guerra di nervi su chi avesse diritto a spacciare nella zona, e la tensione tra il clan dei Santapaola e quello dei Cappello era sul punto di abbandonare i negoziati per abbracciare la violenza. È quanto emerge dalle carte dell’inchiesta Agorà, che l’altro ieri ha portato in carcere 56 persone con varie accuse, tra cui associazione mafiosa, traffico di droga e estorsioni. La vicenda della piazza di spaccio di Zia Lisa, in cui è stato coinvolto tutto il gruppo mafioso di Villaggio Sant’Agata, aiuta a illuminare i nuovi assetti di potere di Cosa Nostra catanese.
La piazza di Zia Lisa
Lo smercio di droga nel quartiere nel giugno 2019 è controllato da Antonino Sebastiano Battaglia, nipote del boss Santo e con legami con il clan Santapaola-Ercolano. Battaglia, già in carcere dal novembre scorso per il suo coinvolgimento nell’operazione Alter Ego, ha imposto nella primavera del 2019 il suo controllo sulla piazza di spaccio, imponendo agli esponenti del clan Cappello che già spacciavano la fine di ogni attività.
L’ultimo giorno di maggio Battaglia, insieme a un uomo del Villaggio Sant’Agata, va nell’officina di Turi Rinaldi, diventato coordinatore e una sorta di “giudice di pace della mafia” in quel periodo di assenza di un reggente, per riferirgli di avere cacciato un uomo del clan Cappello che spacciava da casa. Le microspie del Ros intercettano le conversazioni degli uomini, tracciando il malcontento di Battaglia per il comportamento dei Cappello, che continuavano a trasgredire i suoi ordini continuando a smerciare droga a Zia Lisa.
La questione sembra risolversi dopo una conversazione, che avviene sempre nell’officina di Rinaldi, tra Battaglia e Concetto Bonaccorsi, esponente di spicco dei Cappello. Bonaccorsi precisa che l’uomo che spaccia da casa, tale Stefano, si è spostato a Zia Lisa per viverci e non per spacciare, dunque non c’era intenzione di spostare grosse quantità di droga nella zona. Si raggiunge un accordo di massima, con Bonaccorsi che ha il permesso di spacciare nella zona del Corso, e la cosa sembra finire lì.
Le minacce
Ancora dieci giorni dopo, però, la questione torna a ripresentarsi: Battaglia riferisce a Rinaldi di avere cacciato degli uomini di Bonaccorsi e pretende il rispetto assoluto della sua piazza di spaccio: “Noialtri ieri ci ficiumu livari manu o Carateddu – dice Battaglia, registrato dalle microspie – ora ciama fari livari manu anche a lui!”.
“Lui” è uno spacciatore chiamato Lorenzo, legato a un altro uomo del clan Cappello, Rosario Ragonese. E proprio Ragonese avrebbe reagito duramente all’idea di Battaglia di monopolizzare la piazza di Zia Lisa, arrivando a minacciare l’uso della violenza per risolvere la questione. Rinaldi a quel punto fa una sorta di mappa delle piazze di Zia Lisa: c’è quella del gruppo di Villaggio Sant’Agata, quella di Lorenzo e quella di tale Santo. Ma Battaglia non vuole sentire ragioni: “Saro è dentro casa mia, là ho una piazza io alla Zia Lisa e lui porta sconzu e a livari manu! Come ha fatto Concetto [Bonaccorsi], fa lui!”
Nove per ventuno
I Cappello, in quella fase, sostengono che non si può parlare di una vera e propria piazza di spaccio se si spaccia da casa. In più, dicono, molti esponenti del clan Santapaola e le loro mogli spacciano da casa in altre zone della città, piazze di spaccio dei Cappello. È la posizione di Ragonese, che è molto risentito per l’atteggiamento di Battaglia.
Il quale però non vuole sentire ragioni, e si dichiara pronto a portare lo scontro alla violenza: “Dice ‘possiamo litigare’, non ne leva piazza”, sbotta in un’occasione. Fino alla minaccia esplicita: “Io come sposto da qua, ti do la mia parola d’onore… mi metto la nove per ventuno [la pistola] addosso… come io vedo al semaforo un motorino, un casco… lo piglio e lo accappottu”
La mediazione
A questo punto interviene Rinaldi a temperare le posizioni, dicendo che bisogna trovare una soluzione senza mostrare debolezza da parte del gruppo del Villaggio. Battaglia gli riconosce l’autorità per sbrogliare la matassa: “Turi, io sto dicendo una cosa e la sto dicendo qua davanti a tutti quanti… leviamo questa farsa di uscire da soli la sera, leviamo questa farsa… l’importante è che non torniamo indietro”.
A questo punto, gli uomini del Villaggio Sant’Agata accettano l’idea che lo spaccio da casa sia una sorta di “zona franca“, che non inficia il controllo di una piazza. A Ragonese mandano a dire che “si sono informati” e che è esattamente come sosteneva lui. Alla fine la riappacificazione avviene anche tra Battaglia e Bonaccorsi, ma con una linea chiara tenuta da Battaglia, ovvero che non si può spacciare fuori dalle mura dell’abitazione: “A casa si può lavorare perché ci stiamo informando e ci sta dicendo che a casa non vi possiamo dire niente! A casa! Non sul portone! … l’importante che non si mettono sulla strada a chiamare i cristiani!”