CATANIA – Sulla sua testa pendono due richieste di condanna per un totale di oltre 26 anni di reclusione. A partire da settembre, nel giro di un paio di mesi, il presunto capo del clan Santapaola Ercolano Francesco Napoli, attualmente detenuto, si gioca una fetta importante del suo futuro prossimo.
A settembre si va in aula per la sentenza al processo Orfeo. È quel dibattimento, che si celebra dinanzi alla prima sezione del Tribunale collegiale, presieduta da Alessandro Ricciardolo, che riguarda i Santapaola e i loro affari nel quartiere di Picanello. Dalle cronache di quel vecchio blitz, Napoli, sembrava quasi una figura di secondo piano. Sta di fatto che per lui il pm Rocco Liguori ha chiesto 11 anni e 8 mesi.
Il 12 settembre sentenza del processo Orfeo
Se ne parlerà il 12 settembre, giorno di ultime arringhe e forse della sentenza. Napoli è difeso dall’avvocato Giuseppe Marletta. Quindici anni, invece, la Procura distrettuale antimafia li ha chiesti per lui nella requisitoria del processo Sangue Blu. E pure in quel caso si tornerà in aula in autunno.
Questo processo si celebra dinanzi al gup Chiara Di Dio Datola e con la formula del rito abbreviato. In una delle fasi del procedimento, Napoli aveva preso la parola personalmente difendendosi, respingendo le tesi dei pentiti e ammettendo solo alcuni incontri. Ma non si trattava di summit bensì di incontri in cui si sarebbe limitato a dire che non voleva avere più nulla a che fare con la mafia.
In aula bunker il processo Sangue Blu
Secondo i pm, invece, sarebbe l’ultimo capo del clan catanese, un’organizzazione divenuta holding criminale, che comanda su mezza Sicilia. Secondo gli investigatori e i collaboratori di giustizia, per Ciccio Napoli era stata usata la formula dell’uomo d’onore “riservato”. L’attribuzione, sempre più in voga tra i capi, mira a evitare, o quantomeno a provarci, di finire al centro del mirino delle forze dell’ordine. Del resto lui non era certo un novizio.
Si tratta di un pregiudicato imparentato con famiglie storicamente potenti di Cosa Nostra. È nipote di Salvatore Ferrera detto “Cavadduzzo” e membro della storica dinastia di Cosa Nostra catanese, imparentato con la stessa famiglia Santapaola. È difeso dagli avvocati Marletta e Salvatore Pace. Un “pezzo da novanta”, secondo i pentiti, che gli attribuiscono una nobiltà mafiosa in salsa catanese. Una sorta di “sangue blu”, proprio come i gentiluomini dell’aristocrazia di un tempo.