Mafia, droga e nuove generazioni dei Santapaola: 13 arresti NOMI

Mafia, droga e nuove generazioni dei Santapaola: 13 arresti NOMI

Tutti i particolari e chi sono gli arrestati

CATANIA – Sono tredici gli arrestati nell’operazione dei carabinieri del nucleo investigativo del comando provinciale di Catania, che hanno spezzato sul nascere il tentativo di riorganizzare gli assetti del clan Santapaola Ercolano, già colpito duramente dall’incessante azione repressiva della magistratura e delle forze di polizia.

I nomi

In carcere sono finiti Salvatore Battaglia di 57 anni, Giuseppe Caruso di 38, Gabriele Gioacchino Cigna di 20, Santo Di Bella di 32, Carmelo Di Silvestro di 47, Francesco Pio Giuseppe Di Stefano di 24, Salvatore Gurrieri di 48, Alessandro Simone Ingo di 27, Giuseppe Pistone di 33, Santo Roggio di 48, Michele Spampinato di 24.

Arresti domiciliari per i due giovanissimi Giulia Ilenia Catanzaro di 21 anni e Marco Natale Tosto di 20.  I 13 arrestati sono indagati a vario titolo di associazione mafiosa, associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti e concorso in detenzione ai fini di spaccio di stupefacenti.

L’inchiesta

Il provvedimento è frutto di un’indagine avviata nel maggio dello scorso anno, coordinata dalla Procura Distrettuale di Catania e condotta dai Carabinieri del Nucleo Investigativo del Comando Provinciale.

Già allora, nello scorso mese di dicembre sono state fermate 9 persone che secondo gli inquirenti volevano uccidere un soggetto che i Santapaola ritenevano appartenente al gruppo rivale dei Cappello, ovvero Pietro Gagliano.

Il rito immediato

Per coloro che furono fermati allora, dunque nessuno dei coinvolti nell’operazione odierna, nel frattempo, la Dda ha proceduto con la richiesta di rito immediato. In particolare, il progetto sarebbe stato originato da quanto accaduto la sera del 21 ottobre scorso nella zona del “Passereddu”, quartiere San Cristoforo.

Qui, dopo una discussione tra appartenenti ai diversi gruppi, Gagliano avrebbe sparato 4 colpi di arma da fuoco verso appartenenti alla famiglia di “Cosa Nostra catanese.  Due di questi ultimi, rimasti illesi, avrebbero immediatamente giurato vendetta.

“Vecchia mafia” e “mafia giovane”

Nel corso delle indagini che hanno portato ai 13 arresti, più volte sarebbe stato possibile apprezzare una netta distinzione tra l’azione della “vecchia mafia”, dei “grandi (ovvero dei sodali più anziani e di risalente affiliazione), da un lato, e l’azione della “mafia giovane”, spregiudicata, irruente, avvezza alla esibizione di status symbol sui social e alla vita gaudente, dall’altro.

Proprio riguardo alla posizione di diversi storici affiliati della famiglia catanese di Cosa Nostra,  gli approfondimenti svolti avrebbero evidenziato che alcuni presunti appartenenti al clan, benché detenuti in diversi istituti penitenziari in varie parti di Italia, avrebbero continuato ininterrottamente ad esercitare la loro attività di indirizzo e controllo delle dinamiche criminali comunicando con i sodali liberi attraverso dispositivi telefonici che si erano procurati illecitamente e che detenevano negli istituti.

Le comunicazioni in carcere

Quest’ultimo aspetto dimostrerebbe l’assoluta permeabilità degli istituti penitenziari alla ricezione e all’ingresso di dispositivi di comunicazione che consentirebbero agli affiliati detenuti di mantenere contatti quotidiani con i sodali liberi, in modo da impartire le loro direttive.

Tra le figure più emblematiche in tal senso, quella di Salvatore Battaglia, storico responsabile del gruppo del Villaggio Sant’Agata, assieme al fratello Santo, e protagonista di una intensa stagione di sangue negli anni ’90, già condannato in via definitiva per il reato associativo mafioso e omicidio, che sarebbe risultato essere punto di riferimento attuale per il sodalizio criminale.

La figura di Battaglia

Sarebbe stato capace di fornire indicazioni ai sodali circa la gestione delle dinamiche associative, a dispetto del suo status di detenuto. Salvatore Battaglia avrebbe ricevuto numerose informazioni durante la detenzione dai presunti affiliati liberi.

In questo modo sarebbe stato sempre aggiornato sulle dinamiche in corso e da esser in grado di impartire direttive dal carcere avuto riguardo ad incontri da svolgere con affiliati o soggetti di interesse associativo, alla gestione dei proventi delle attività illecite di pertinenza del gruppo del Villaggio Sant’Agata ed ai comportamenti, anche violenti, da tenere in talune situazioni.

Altra figura di interesse  sarebbe risultata essere quella di Salvatore Gurrieri, inteso “turi u puffu”, esponente della “vecchia generazione” di affiliati: la circostanza di essere ristretto presso un istituto penitenziario del Nord Italia unitamente ad altri affiliati- tra i quali uno dei vertici dell’articolazione mafiosa- gli avrebbe conferito un preziosissimo ruolo, avendo la possibilità di ricevere e veicolare direttamente le informazioni tra i sodali liberi e i soggetti con  esso detenuti e pretendere erogazioni di denaro.

La corrispondenza

L’attività di indagine avrebbe permesso di accertare la indissolubilità del legame di appartenenza all’associazione mafiosa dei sodali detenuti, un legame  di reciproca corrispondenza perché, se per un verso  i sodali detenuti sarebbero risultati capaci di esser aggiornati sulle dinamiche della vita mafiosa all’esterno del carcere e fornire consigli o direttive ove fosse necessario.

Tra l’altro forti della expertise mafiosa vantata, per altro verso sarebbe stata accertata la continua corresponsione di somme per il mantenimento in carcere ai sodali detenuti (il cosiddetto “stipendio”), somme provenienti dagli affari illeciti gestiti dall’associazione mafiosa che non mancava mai di considerare quali “costi fissi” e non eludibili proprio le somme da erogare ai detenuti, a conferma e a tutela di un vincolo di appartenenza.

I nuovi affiliati

Ulteriore elemento di rilievo apprezzato dalle risultanze dell’attività investigativa sarebbe risultata essere la presenza di nuove figure di giovani affiliati pronti ad affiancare i sodali più anziani nella gestione degli affari illeciti, del traffico di stupefacenti in particolare.

Tra questi sarebbe emerso Giuseppe Pistone, giovane impegnato e disposto a tutto pur di compiere la sua scalata nell’olimpo criminale della malavita etnea. Pistone avrebbe mosso i primi passi sulla scena criminale come autista di Andrea Nizza, soggetto apicale dell’omonimo sodalizio criminale per poi arrivare, da ultimo, sino a ricoprire ruolo di responsabile del gruppo Nizza di Librino.

Successivamente all’arresto di Andrea Nizza, Pistone si sarebbe dedicato in via prioritaria all’attività di spaccio nell’interesse e per conto del gruppo Nizza, con l’obiettivo di riportare il citato gruppo agli antichi splendori pur in assenza della forza militare di un tempo.

La figura di Pistone

Le risultanze investigative avrebbero consentito di delineare la figura di Pistone, in termini ben lontani da quelli di un semplice spacciatore di strada, risultando il predetto dotato di capacità e poteri organizzativi anche quale gestore di una “piazza volante”.

Ossia una piazza di spaccio ruotante intorno alla gestione di un’utenza telefonica, contattata da un numero indeterminato di assuntori attraverso diversi applicativi di messaggeria istantanea, quali telegram e whatsapp cui seguiva un apposito servizio di delivery degli stupefacenti curato da soggetti appositamente incaricato.  

Le penetranti attività investigative avrebbero consentito di apprezzare le interazioni tra vari gruppi della famiglia di Cosa Nostra etnea nonché tra detti gruppi e Clan antagonisti, rivelando in più momenti gravi fibrillazioni caratterizzate anche da una “corsa alle armi”.

Le fibrillazioni

A tal riguardo, proprio a margine di alcuni di questi momenti di fibrillazione, sarebbero state condotte delle attività di riscontro e controllo e, in particolare in data 19 ottobre 2022, i Carabinieri del Nucleo Investigativo di Catania traevano in arresto in flagranza per il delitto di “detenzione illegale di armi e munizioni, un 35enne catanese già noto alle Forze dell’Ordine e intraneo al “gruppo Nizza” della famiglia “Santapaola-Ercolano”.

Nel frangente i militari fermavano l’uomo in viale Moncada, ove veniva trovato in possesso di un revolver Franchi, con caricatore inserito e 9 colpi calibro 38 special all’interno, nascosto nella cinta dei pantaloni. Nel medesimo contesto, gli operanti effettuavano perquisizione all’interno di un locale destinato alla raccolta dei terminali della rete fognaria di due scale di una stessa palazzina.

I sequestri

Qui sarebbero stati rinvenuti 5 fucili da caccia, di cui tre cosidddetti “a canne mozze”, poiché artigianalmente modificati, 1 pistola mitragliatrice di provenienza cecoslovacca, 1 pistola modello Glock modificata, 352 munizioni di vaio calibro, circa 6 chilogrammi di hashish suddiviso in panetti, un giubbotto antiproiettili, un lampeggiante blu per auto, vari kit per la pulizia delle armi e svariato materiale per travisamento, tra cui scaldacollo e guanti in pile.

Da ultimo, nell’ambito dello stesso contesto investigativo, il 20 novembre scorso, i Carabinieri avevano altresì tratto in arresto, per “detenzione ai fini di spaccio di sostanza stupefacente” e “resistenza a pubblico ufficiale”, due soggetti i quali, all’esito di un inseguimento in territorio di Canicattì, venivano bloccati e trovati in possesso di circa un chilo di cocaina, costituente fornitura ricevuta appena un’ora prima nel capoluogo etneo  e consegnatagli da alcuni degli indagati nel presente procedimento.


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