BIANCAVILLA (CATANIA) – Secondo i carabinieri e la Dda di Catania, il clan sarebbe capeggiato da Giuseppe Mancari. E per anni avrebbe imposto il pizzo a tappeto a baristi, gommisti, ristoratori: prendevano soldi da tutti in nome del gruppo dei Tomasello-Mazzaglia-Toscano, referenti in città del clan Santapaola-Ercolano.
Ora sono stati rinviati a giudizio in diciannove. Tredici faranno il rito abbreviato, che si aprirà il prossimo 24 settembre, altri sei andranno invece con rito ordinario, che si aprirà a ottobre. Il rito alternativo è stato scelto tra gli altri dallo stesso presunto boss Mancari, oggi 74enne. Tra le accuse, a vario titolo, c’è anche il traffico di droga.
Gli imputati
Gli altri imputati sono tredici che furono arrestati nell’operazione Ultimo Atto: Salvatore Manuel Amato, Fabrizio Distefano, Placido Galvagno, Giovanni Gioco, Piero Licciardello, Nunzio Margaglio, Carmelo Militello, Nicola Gabriele Minissale, Alfio Muscia, Ferdinando Palermo, Mario Venia e Carmelo Vercoco. Gli altri erano indagati a piede libero.
Le accuse si basano sulle indagini dei carabinieri, ma anche sulle rivelazioni di uno degli ultimi pentiti della mafia catanese, Vincenzo Pellegriti. Stando alle sue dichiarazioni, Cosa Nostra, a Biancavilla, metterebbe in moto i suoi esattori in particolare a Natale, a Pasqua e per San Placido, Santo Compatrono della città dal 1709. La terza “rata” del pizzo, insomma, qui non viene chiesta a Ferragosto (secondo un calendario consolidato di altre zone), ma a ottobre.
La festa di San Placido
Ed è proprio nei giorni della festa di San Placido, secondo Pellegriti, che a essere presi di mira sono giostrai e venditori di carne di cavallo arrostita. “Sostanzialmente – ha raccontato – chi voleva montare una bancarella era costretto a comprare la carne di cavallo per il tramite del clan mafioso”.
Un uomo del clan si sarebbe sempre fatto da portavoce. E avrebbe imposto ai titolari delle bancarelle “l’acquisto di carne che poi lui a sua volta comprava da una macelleria autorizzata”. Il prezzo ovviamente, dal produttore al venditore finale, saliva ampiamente.
Le minacce
“Se qualcuno si rifiutava e voleva comprare la carne direttamente dal macellaio veniva minacciato – ha proseguito, in sintesi, il collaboratore di giustizia – e poi gli danneggiavamo la bancarella anche dandole a fuoco. Per quanto riguarda le giostre, in primo luogo voglio dire che i titolari sono costretti a dare circa 100 blocchetti da circa 20 biglietti gratuiti per “i figli dei detenuti”. In realtà poi negli ultimi anni le persone del clan mafioso che ritiravano questi blocchetti poi li regalavamo a nostro piacimento”.
E, ancora, i “titolari di ogni singolo gioco pagano circa 400 o 500 euro al clan mafioso”. “Queste estorsioni – ha chiarito – naturalmente andavano avanti da anni e per quanto riguarda il periodo successivo alla mia scarcerazione”.
Secondo gli inquirenti, la droga arrivava da Adrano, altre volte dal clan dei Laudani o dalla “Fossa dei leoni”, una delle piazze di spaccio più importanti del clan Cappello.