Cosa Nostra, l’ultimo boss di Catania sceglie il rito abbreviato

Cosa Nostra, l’ultimo boss di Catania sceglie il rito abbreviato

La decisione dei difensori di Francesco Napoli è stata accolta dal gup. Si torna in aula fra due mesi.
"SANGUE BLU"
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CATANIA. E’ presto per dire se questa sentenza potrà scrivere un primo tassello di verità sulla storia recente di Cosa Nostra all’ombra dell’Etna, ma un dato è certo: in due giorni, colui che è ritenuto l’ultimo padrino del clan Santapaola Ercolano, Francesco Tancredi Maria Napoli detto “Ciccio”, si gioca il tutto per tutto. Il gup Chiara Di Dio Datola, infatti, lo ha ammesso al rito abbreviato, accogliendo la richiesta dei suoi difensori, gli avvocati Giuseppe Marletta e Salvo Pace e cancellando per lui, di fatto, l’udienza preliminare.

Fra due mesi, nell’aula bunker del carcere di Bicocca, i pm Rocco Liguori e Lina Trovato della Dda di Catania svolgeranno la propria requisitoria al processo “Sangue Blu”, dal titolo dell’inchiesta con cui è stato azzerato il vertice del regno di uno degli ultimi capi della mafia etnea; e potrebbe anche venire fuori il verdetto.

Gli imputati sono in tutto 38, alcuni dei quali hanno chiesto il rito abbreviato, altri il patteggiamento. Meno di dieci, l’11 maggio, dovrebbero conoscere l’esito dell’udienza, chiamata a giudicarne l’eventuale rinvio a giudizio. Le accuse, contestate a vario titolo, sono associazione mafiosa, pizzo, traffico di droga o ipotesi minori.

Secondo gli investigatori, sarebbe proprio lui, Ciccio Napoli, ad aver detenuto lo scettro del potere mafioso, tant’è che per lui, l’accusa principale, è proprio associazione mafiosa aggravata dall’indicazione di capo e promotore da settembre 2019 a dicembre 2021. Di lui hanno parlato vari collaboratori di giustizia, come Santo La Causa, Silvio Corra e Salvatore Scavone.

Napoli è nipote di Giuseppe Ferrera “Cavadduzzu”: secondo i carabinieri, insomma, uno dal “sangue blu”, la cui famiglia era un tempo “l’elité della mafia”. Un nipote di Nitto Santapaola, parlando di lui, lo avrebbe definito “mezzo parente nostro”. L’inchiesta “Sangue blu”, insomma, riguarda coloro che gestivano, secondo gli investigatori, l’intera politica mafiosa del clan.

Per avere idea di quanto sia grande il potere dei Santapaola-Ercolano, basti pensare che propaggini dell’organizzazione catanese si trovano in provincia di Enna, dove ormai dettano legge da oltre un decennio, tanto da designare ben due capi provinciali, come Salvatore Seminara, prima, poi i fratelli Monachino di Pietraperzia; ma anche in altre province dove Cosa Nostra è forte: Caltanissetta, Messina, Ragusa e Siracusa.

Va evidenziato inoltre che negli ultimi anni, anche per la crisi degli altri clan e i vuoti di potere provocati dalle ordinanze, i Santapaola-Ercolano hanno scalato di parecchio le gerarchie nella nuova Cosa Nostra di Messina Denaro, in cui il Palermitano, il Trapanese e l’Agrigentino rappresentano sempre delle roccaforti importantissime, ma dove il Catanese, in termini di potere e di radicamento, non si è rivelato affatto meno potente.

Quando Napoli è stato arrestato, il 28 settembre scorso, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere emessa dal Gip di Catania Anna Maria Cristaldi, sono venute allo scoperto storie di mafia che affondano le proprie radici nel tempo. “Protagonista delle dinamiche mafiose catanesi fine degli anni 90”, Napoli, che ha precedenti per traffico di stupefacenti, secondo l’ordinanza sarebbe “un personaggio carismatico”, “gravato da una lunghissima carcerazione, ma non provato dalla stessa tanto riprendere immediatamente un ruolo di grande responsabilità in seno all’associazione mafiosa questione”.

Avrebbe adottato “una maniacale attenzione ai propri movimenti, ai propri incontri, alle proprie parole, onde evitare di dover ripetere l’esperienza più che decennale in carcere, ma senza sottrarsi ruolo di reggente dell’organizzazione mafiosa Santapaola-Ercolano, in un momento in cui detta organizzazione necessitava di una solida guida, essendo stata falcidiata dall’esecuzione numerose ordinanze, con la detenzione di affiliati storici e capi”.

La sua lunga appartenenza a Cosa Nostra “e la stima riconosciutagli trasversalmente in ambito mafioso”, hanno comportato che tutti lo conoscessero, quantomeno i più importanti appartenenti al clan; tant’è che di lui hanno parlato “sia storici collaboratori di giustizia e, tra questi, Santo La Causa”, sia gli ultimi e più recenti, come Salvatore Scavone e Silvio Corra.

Alla fine, insomma, è finito lo stesso nei guai, nonostante quella cura maniacale degli incontri e dei contatti che viene descritta così, dal gip, nell’ordinanza: “Nel corso delle intercettazioni delle conversazioni telefoniche, emergeva come il Napoli fosse ossessionato dal pensiero che le sue conversazioni telefoniche fossero ascoltate dagli investigatori, per cui aveva creato una rete telefonica riservata, costituita da telefoni cellulari e schede telefoniche, spesso intestate ad ignari cittadini extracomunitari, che sostituiva frequentemente riel timore evidente di essere intercettato.

Inoltre il Napoli, come riferito anche dal Corra, rinviava ogni problema ad incontri di presenza limitando le sue conversazioni telefoniche a stringate e precise comunicazione, che celavano appuntamenti in luoghi preventivamente concordati. Ai suoi interlocutori vietava di tenere gli apparecchi telefonici con sé nei contatti personali”.

Circa il comportamento molto guardingo dell’indagato, nell’ordinanza il gip scrive che “l’attività investigativa è riuscita anche a neutralizzare tutte le cautele assunte dal Napoli, sistematicamente contrario all’uso dei telefoni, con rinvio delle discussioni in presenza, ed a ricostruire gli spostamenti e gli incontri effettuati dallo stesso per finalità legate alla sua posizione all’interno del clan mafioso.

I risultati delle indagini hanno, infatti, dimostrato non solo l’appartenenza del Napoli al clan Santapaola, ma anche il ruolo dirigenziale dallo stesso ricoperto, tale da rendere il suo intervento indispensabile per la soluzione di contrasti tra gruppi mafiosi, sia all’interno dello stesso clan Santapaola, sin tra quest’ultimo clan e quello dei Cursoti milanesi e per risolvere questioni economiche della famiglia di sangue”.

Il suo peso specifico, poi, è sintetizzato alla perfezione nella conversazione che ha con quello che è ritenuto il suo braccio destro, ovvero Cristian Buffardeci, l’11 maggio 2020. Nell’intercettazione, Napoli racconta di aver incontrato delle persone per discutere di un affare.

Loro erano arrivati in numero consistente all’appuntamento, per dimostrare la propria forza, mentre lui si era presentato da solo, perché non aveva alcun bisogno di mostrare i muscoli a nessuno. La sua forza era insita nella sua posizione. “Dovevo fare venire a te per cosa? Gli devo fare vedere la forza? Io la forza ce l’ho per davvero! C’è bisogno che la faccio vedere a lui?”.


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