CATANIA – Quando Biagio Grasso – uno dei colonnelli, secondo i magistrati, della cupola santapaoliana che comanda anche a Messina – vuole far perdere le sue tracce dalla gestione della Parco delle Felci Srl, colosso del settore immobiliare, ha una sola certezza: di essere sott’indagine. A rivelarglielo, secondo quanto racconta mentre le cimici del Ros registrano, sarebbe stato “qualche amico importantissimo di sinistra”. Non un consigliere comunale o un segretario di sezione. Qualcuno che “bazzicava in mezzo a questi quattro sciacqua lattughe…Beppe Lumia e company…perché loro…i grandi…è andato a parlare…e io gli ho detto…cosa questa di venti giorni fa”.
Mentre i pm coordinati dall’aggiunto Sebastiano Ardita lo intercettano, Biagio Grasso ripercorre passato e presente, rivedendo in filigrana quel passaggio che lo avrebbe portato a essere prima vittima della mafia, poi imprenditore disposto a pagare, da ultimo uomo di fiducia dei vertici del clan. A quel punto l’interrogativo è semplice, dopo che ha parlato con l’amichetto di “sinistra”: “Che faccio? Faccio il testone – si chiede – e faccio finta che non ho sentito il suggerimento?”.
I soldi sul piatto ci sono, l’organizzazione ha trovato un catanese, di nome “Carmelo” che è pronto a sborsare il 50% del capitale necessario per realizzare 64 appartamenti, un imprenditore individuato dagli inquirenti in grado di camminare con due valigette e 1.800.000 euro in contanti. Grasso, per seguire il “suggerimento” dell’amico di sinistra, pensa a un gioco di prestigio societario per fare sparire la sua ombra dagli affari che stava portando avanti. Pensa a come incastrare un prestanome in un sistema di cessione di rami d’azienda.
Biagio Grasso ne ha fatta di strada, tra cemento e mafia all’ombra dei Santapaola e dello Stretto: “Lei pensi – dice a un suo interlocutore – che io ho chiuso il 2006 con 40…42 milioni di euro di fatturato…il 2005…38…cioè fidato in Unicredit 7milioni in linea capitale…7…7milioni. C’era Vincenzo Franza e Francantonio Genovese (transitato dal Pd a Forza Italia ndr), più alto di me all’epoca…gli altri erano tutte birbe…ma non perché mi affidavo a Rocco…io ero direttamente seguito da Coriani…Milano Cordusio…poi purtroppo non ho saputo gestire quello che ho fatto in brevissimo tempo…rapporti consolidati, Cmc, Maltauro…diretti…diretti”.
Pensando al futuro, Grasso si sente sicuro “minimizzando – scrivono i magistrati – i pericoli derivanti dalle possibili accuse che avrebbero potuto essergli rivolte dagli inquirenti, vantando la conoscenza di politici e persone importanti: “Io me ne vado nella Commissione Europea diretta…cioè mio padre è amico personale di Luciano Violante e finora per tipologie di cose a mio padre non l’ho fatto mai esporre mai, quindi…perché lo farò esporre quando non gli possono dire <ma sai non possiamo fare niente perché…>”.
Il viaggio “diretto” in commissione Europea Grasso non ha avuto il tempo di farlo. E’ arrivato prima in carcere.