PALERMO – Non era mafioso e l’estorsione che gli veniva contestata è stata solo un “esercizio arbitrario delle proprie ragioni”. La Corte di Cassazione ha annullato, senza rinvio, la condanna inflitta a Vincenzo Salvatore Onorio, imprenditore caseario di Gibellina, nella parte che riguardava la contestazione di associazione mafiosa.
Per l’ipotesi di estorsione, invece, una volta riqualificata, i supremi giudici hanno dichiarato “non doversi procedere per mancanza della querela”. L'”esercizio arbitrario delle proprie ragioni”, infatti, è un reato di lieve entità, tanto che viene trattato dal giudice monocratico e può essere punito solo con una pena pecuniaria. In un colpo solo Onorio si libera, e per sempre, di due reati che complessivamente gli erano costati una condanna pesantissima in appello: tredici anni. Alla fine hanno avuto ragioni i suoi legali, gli avvocati Nino Caleca e Marcello Montalbano.
Nello stesso processo diventa definitiva la condanna a 9 anni e 6 mesi inflitta dalla Corte d’appello di Palermo a Giuseppe Barraco, uomo d’onore della cosca di Marsala.
A fare il nome del produttore caseario trapanese, accostandolo addirittura a Matteo Messina Denaro, erano stati anche i collaboratori di giustizia palermitani Emanuele Andronico e Pietro Scavuzzo. Il primo disse che Onorio si era rivolto a lui per un favore particolare: ammazzare due persone. L’accusa di estorsione riguardava, invece, la trasferta di Onorio in terra veneta per recuperare il credito dei proprietari di una nota pasticceria palermitana. Proprietari che non erano a conoscenza dei metodi bruschi di Onorio.