PALERMO – I corpi li stanno ancora cercando. Il neo pentito Nino Pipitone parla di tre omicidi e i carabinieri del Nucleo investigativo di Palermo arrestano tre persone. Una quarta è ancora ricercata. Su richiesta della Procura della Repubblica sono stati emessi quattro fermi. Non c’è traccia, però, di Ferdinando Freddy Gallina, che da qualche tempo si era trasferito in America. Sono già in cella Giovan Battista Pipitone, Salvatore Cataldo e Antonino Di Maggio.
Antonino Failla e Giuseppe Mazzamuto furono torturati, uccisi e seppelliti dentro una Fiat Uno. Furono inghiotti dalla lupara bianca, come Francesco Giambanco. Ci sono i morti, ma pure i vivi nell’inchiesta della Procura della Repubblica che ha fermato quattro persone accusate di omicidio. Pipitone partecipò al macabro delitto di cui aveva già parlato un altro collaboratore, Gaspare Pulizzi. Il Tribunale di Cosa nostra convocò le vittime in un appartamento. Su di loro pesava una duplice accusa. Avevano partecipato alla sparizione di Luigi Mannino, un parente di Salvatore Lo Piccolo, il boss di San Lorenzo che dettava legge anche a Carini e dintorni. Ma avevano anche rubato in un supermercato “protetto” da Cosa nostra.
Era l’aprile del 1999. Il primo a morire fu Failla, colpito con una roncola mentre tentò di scappare. Mazzamuto assistette alla scena. Urlava, “gli altri lo sanno che sono qui”, sperando che la furia omicida si placasse. Implorava perdono per una colpa che non aveva commesso. Fu tutto inutile. Lo uccisero con un colpo alla testa. I corpi furono caricati sulla macchina. Fu necessario l’intervento di un escavatore per realizzare la grande buca. Dell’omicidio sono ora accusati Giovan Battista Pipitone, Di Maggio, Cataldo, Pulizzi e Vincenzo Pipitone (già detenuto).
Gallina, in concorso con Antonino Pipitone, Pulizzi e Giovanni Cataldo (deceduto), avrebbero ucciso Giambanco a colpi di bastone alla testa, nascosero il cadavere nel bagagliaio di un autoveicolo che venne bruciato. L’ordine di uccidere Giambanco proveniva dal capo della famiglia mafiosa di Carini, Giovan Battista Pipitone, e dal fratello Vincenzo, che ritenevano Giambanco responsabile della scomparsa di Federico Davì e di alcuni danneggiamenti.