La frase è un po’ lunga. Tuttavia è utile ascoltarla. Sentirla proprio con le orecchie, immaginando quella voce roca dall’impasto siciliano. E dietro quella voce, gli occhi del giudice Paolo Borsellino (grazie a Sudpress per avera ripescata, la ricordavamo, non la trovavamo): “L’equivoco su cui spesso si gioca è questo: si dice quel politico era vicino ad un mafioso, quel politico è stato accusato di avere interessi convergenti con le organizzazioni mafiose, però la magistratura non lo ha condannato, quindi quel politico è un uomo onesto. E no! questo discorso non va…
…perché la magistratura può fare soltanto un accertamento di carattere giudiziale, può dire: beh! Ci sono sospetti, ci sono sospetti anche gravi, ma io non ho la certezza giuridica, giudiziaria che mi consente di dire quest’uomo è mafioso. Però, siccome dalle indagini sono emersi tanti fatti del genere, altri organi, altri poteri, cioè i politici, le organizzazioni disciplinari delle varie amministrazioni, i consigli comunali o quello che sia, dovevano trarre le dovute conseguenze da certe vicinanze tra politici e mafiosi che non costituivano reato ma rendevano comunque il politico inaffidabile nella gestione della cosa pubblica. Questi giudizi non sono stati tratti perché ci si è nascosti dietro lo schermo della sentenza: questo tizio non è mai stato condannato, quindi è un uomo onesto.
Ma dimmi un poco, ma tu non ne conosci di gente che è disonesta, che non è stata mai condannata perché non ci sono le prove per condannarla, però c’è il grosso sospetto che dovrebbe, quantomeno, indurre soprattutto i partiti politici a fare grossa pulizia, non soltanto essere onesti, ma apparire onesti, facendo pulizia al loro interno di tutti coloro che sono raggiunti comunque da episodi o da fatti inquietanti, anche se non costituenti reati”.
Da rileggere, da appendere, da ripetere ogni giorno. Purtroppo, a prescindere dalle note vicende del presidente della Regione, ci pare che questa massima non semini e non attecchisca. In Sicilia non vale.
Non vale per i sostenitori di Totò Cuffaro, che vanno ben oltre e confondono il sentimento umano con la giustizia, vecchia confusione in Sicilia. Non vale per coloro che gridano al complotto mediatico-plutocratico, per sottrarsi a fequentazioni imbarazzanti, rovesciando il riflesso e il campo di gioco: tu mi accusi? Allora sei mafioso. Non vale per un partito come il Pd che sapeva perdere le elezioni con dignità. Ma almeno era il presidio e il tabernacolo della questione morale di una volta. Agli elettori del Pd piace questo partito genticamente modificato che, pur di inseguire il potere e chimere elettorali, si accoda pedissequamente alle parole del governatore? E non ci sarebbe scandalo ad accodarsi, ma ci vorrebbe uno straccio, un seguito di riflessione condivisa dalla base, visto che si addensano nubi pesanti all’orizzonte.
Invece niente. La politica non sa più ragionare sulla questione morale in forma autonoma. E’ tornata bambina. Aspetta l’autorizzazione della Procura. E non si interroga nemmeno quando nelle carte dei giudici ci sono evenienze ed episodi che dovrebbero stimolare una critica o una domanda.
E Paolo Borsellino era sicuramente un eroe, i signori onorevoli lo celebrano ogni 19 luglio. Celebriamo la morte, il corpo distrutto del giudice in via D’Amelio. Ma, per favore – al banchetto della retorica patria – nessuno porti le sue parole. Paolo Borsellino è ancora scomodo. E’ ancora un meraviglioso rompicoglioni.