Mafia, alla sbarra i nuovi capi di Randazzo - Live Sicilia

Mafia, alla sbarra i nuovi capi di Randazzo

Al presunto boss Salvatore sono state sequestrate armi e munizioni, fra pochi giorni si va in aula: chiesti 33 rinvii a giudizio.
"TERRA BRUCIATA"
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CATANIA. È l’inchiesta che ha svelato gli affari di uno dei più importanti e attivi gruppi di Cosa nostra, i Sangani, storici alleati del clan Laudani. E approda dinanzi a un gup a due settimane esatte dal sequestro delle armi del presunto boss, Turi Sangani. Armi e munizioni che sarebbero state nascoste in aperta campagna.

Entrerà nel vivo lunedì prossimo l’udienza preliminare, chiamata a decidere sulle 33 richieste di rinvio a giudizio formulate dalla Dda di Catania a carico di presunti esponenti, affiliati e semplici “avvicinati” del gruppo di Randazzo.

La Dda ha deciso di esercitare l’azione penale, dunque, nell’ambito dell’inchiesta Terra Bruciata, dal nome dell’operazione con cui i carabinieri hanno letteralmente azzerato il clan, scoperchiando il vaso di Pandora dei loro business e dei loro presunti agganci con la politica. Lunedì prossimo il Gup Stefano Montoneri dovrà dunque decidere sulle richieste di rinvio a giudizio, ma secondo quanto si apprende alcuni degli imputati si appresterebbero a chiedere il rito abbreviato.

Le richieste di rinvio a giudizio, fomulate dal Pm Assunta Musella, riguardano Sangani e i due figli Francesco e Michael, poi Samuele Portale, Salvatore Bonfiglio, Daniele Camarda, Christian Cantali, Giuseppe Costanzo Zammataro, Salvatore Crastì Saddeo, Giovanni Farina, Francesco Gullotto, Vincenzo Gullotto, Vincenzo Lo Giudice, Antonio Tonno Lupica, Alfredo Mangione, Pietro Pagano, Marco Portale, Francesco Rapisarda, Fabrizio Rosta, Salvatore Russo, Giuseppe Sciavarrello, Remo Arcarisi, Vincenzo Calà, Michele Camarda, Marco Saddeo Crastì, Francesco Paolo Giordano, Leonardo La Rosa, Daniele Lo Giudice, Giuseppe Palermo, Simone Puglia, Rosario Sebastiano Sorbello, Salvatore Trazzera e Nunzio Urzì.

Per la Dda, i Sangani avrebbero un’organizzazione presente e forte, i cui capi sarebbero rappresentanti in città del clan Laudani. Qui il gruppo utilizzerebbe il metodo mafioso per commettere “una serie indeterminata di delitti contro la persona e il patrimonio (tentati omicidi, estorsioni, minacce, danneggiamenti), nonché di reati in materia di armi, perpetrati al fine di mantenere i rapporti di forza nel territorio, di controllare le attività economiche e politiche locali, di assicurare il sostentamento economico degli affiliati detenuti, di condizionare il libero esercizio del voto”.


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