PALERMO – “Mentre uscivo dalla porta del mio ufficio, notavo un oggetto scuro che faceva capolino nella canaletta sopra la porta…”, scriveva così il pubblico ministero Giancarlo Longo nella relazione inviata al procuratore di Siracusa. Le cose, però, non erano andate come le aveva descritte.
Longo, trasferito a Napoli e oggi arrestato per associazione a delinquere e corruzione, aveva il sospetto che stessero indagando su di lui. Un sospetto reale visto che la Procura di Messina aveva incaricato i finanzieri della Tributaria della Città dello Stretto e di Palermo di “spiare” il magistrato. Per prima cosa Longo cercò di farsi aiutare da un tecnico di una ditta privata: “ah perfetto…nel frattempo non c’ha l’apparecchietto per fare due controlli?”. “No… ora no…”, rispose il tecnico.
Poi, nel febbraio 2017 cercò di trovare le cimici da solo. In una sequenza di foto si vede il magistrato cercare sotto il tavolo e poi sopra la porta. Ed è qui che si accorse della telecamera piazzata dagli investigatori. Per accertare chi gli avesse dato la ‘dritta’, gli inquirenti decisero di sequestrargli il cellulare e andarono in Procura, ma l’ex pm non c’era. Ad avvertirlo sarebbe stato un collega, anche lui già indagato e condannato per abuso d’ufficio, Maurizio Musco.
A quel punto, Longo si precipitò in ufficio e dichiarò: “Non ho al seguito il cellulare contraddistinto in quanto, lo stesso, si è rotto. Preciso, altresì, che tale apparato telefonico si trova presso la mia abitazione di Mascalucia”. Ma chiaramente a casa dell’ex pm del telefonino non c’era traccia. Longo l’aveva fatto sparire.
Longo qualche mese ha chiesto il trasferimento al tribunale di Napoli. “In qualità di pubblico ufficiale svendeva la propria funzione”, si legge nella misura cautelare emessa a suo carico. Il giudice scrive che, inoltre, “ha dimostrato di possedere una personalità incline al delitto, perpetrato attraverso la strumentalizzazione non solo della funzione ricoperta, ma anche dei rapporti personali e professionali”.
“La gravità delle condotte da lui poste in essere in qualità di pubblico ufficiale che svendeva la propria funzione, – prosegue – concorreva alla redazione di atti pubblici ideologicamente falsi, si faceva corruttore di altri pubblici ufficiali, con piena accettazione da parte degli stessi, che venivano per giunta da lui remunerati con soldi pubblici, intratteneva una rete di rapporti dall’origine oscura e privi di apparente ragion di essere oltre che, in certi casi, contraria ai più elementari principi di opportunità, depone nel senso della assoluta insufficienza a contenere il pericolo di reiterazioni criminosa attraverso misure diverse e meno afflittive della custodia cautelare in carcere”.