“Siamo qui per sottolineare ancora una volta come il mettere le mani nelle tasche dei mafiosi sia linea programmatica che stiamo seguendo”. Così il Questore di Palermo Alessandro Marangoni ha aperto la conferenza stampa tenutasi questa mattina in Questura sul sequestro di beni per dodici milioni di euro all’imprenditore edile Francesco Francofonti. Il Questore ha voluto ringraziare pubblicamente gli agenti della Sezione Patrimoniale dell’Ufficio Misure di Prevenzione della Questura, che si sono occupati dell’indagine. “Sono quelli che sono andati a sentirsi e risentirsi migliaia di intercettazioni telefoniche per capire quali erano i collegamenti, – ha detto Marangoni- questo tipo di attività è molto difficile e delicata”.
Marangoni ha voluto sottolineare anche come i beni sequestrati a Francofonti abbiano dimostrato come egli operasse in tutta la città, anche al di fuori delle sue zone di appartenenza perchè “l’edilizia è il contesto di maggiore appetibilità per le organizzazioni mafiose”.
Il nome di Francofonti era già noto agli investigatori che erano risaliti a lui dopo attività investigative di natura tecnica durante l’operazione “Gotha” e come spiega il responsabile della sezione ciminalità organizzata della squadra mobile il dottor De Santis, in particolare in alcune conversazioni tra Antonino Rotolo e Francesco Bonura. Nelle intercettazioni infatti emerse che Francofonti con la sua impresa edile e con l’appoggio di Lo Piccolo stesse togliendo lavoro alla ditta Cangemi, vicina proprio al boss Rotolo che provò a ingaggiare uno scontro di forza per estromettere la ditta Francofonti da alcuni appalti.
I 48 autoarticolati sequestrati sono la dimostrazione di come la ditta di Francofonti fosse impiegata per eseguire lavori in più aziende. Infatti come ha sottolineato il dottor Carmelo Vinci:”Gran parte dei cassoni utilizzati per lavori edili in tutta la città fanno capo proprio a Francofonti”. L’indagine sui beni dell’arrestato è scattata dopo che le dichiarazioni dei redditi non combaciavano con quello che era un vero e proprio impero economico.
L’imprenditore infatti era riuscita anche a entrare nel sistema degli appalti pubblici garantendo così ulteriori entrate alle cosche e diventando un sicuro punto di riferimento strategico ed economico per il reinvestimento di capitali illeciti. Tra i lavori svolti dall’impresa figurano forniture di marmi e inetti al comune di Palermo tra il 2004 e il 2007, forniture all’Amia per lavori stradali e lavori per la Capitaneria di Porto. Proprio il un terreno in via Messina Marina, appartenente alla Capitaneria di Porto vi era la sede della ditta e il deposito dei mezzi. L’ottenimento degli appalti pubblici avveniva perchè Francofonti era considerato sul mercato un imprenditore sano, non legato alla malavita solo dal 2005 infatti si ha avuto la certezza di un suo legame con le cosche.
La dottoressa D’Arpa ha sottolineato la facilità nell’individuare i fondi e i beni per l’assenza di prestanome e perchè tutto era stato intestato ai familiari stretti o a se stesso.
Tra i beni sequestrati figurano diversi appartamenti di 5-6 vani tutti con posto auto o box, due terreni a Brancaccio, un deposito merci, un terreno con fabbricato, trenta conti correnti e depositi bancari, titoli, polizze assicurative e altri prodotti per un valore complessivo di un milione di euro. 43 autocarri e mezzi pesanti. Inoltre sono state sequestrate alcune ditte individuali intestate ai figli ma che venivano gestite dallo stesso Francofonti. “Tutte prove di come Francofonti fosse un imprenditore in ascesa, da corso dei Mille e Brancaccio – ha concluso la dottoressa D’Arpa – era riuscito a mettere mano su tutta la città, gestendo estorsioni e riscuotendo il pizzo per le famiglie”.
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