Non avevo mai fatto politica. Ho svolto per decenni la professione di imprenditore e sono stato coinvolto in vicende per cui vengo definito dai giornali “imprenditore antiracket”. Un’espressione che non mi piace perché marca una differenza, un’eccezionalità nel comportamento che invece dovrebbe essere la norma, la sola via da seguire.
Anche per questo motivo, per la mia esperienza di imprenditore vessato dalla criminalità organizzata, l’anno scorso mi è stato chiesto da Mario Monti di candidarmi alla Camera con Scelta civica, partito che l’ex-premier aveva appena fondato.
Ho accettato perché ero affascinato dal suo anno di governo. Monti aveva avviato con molto coraggio misure di riforma che nessun politico aveva mai considerato per paura di perdere consensi.
Ho quindi condotto con entusiasmo la campagna elettorale e giunto in Parlamento nella bella primavera romana, ero convintissimo di poter dare un contributo seppure minimo al miglioramento del mio Paese.
E ne sono profondamente convinto ancora oggi.
Tuttavia, Scelta civica fin da subito ha vissuto momenti di difficoltà. Appena dopo le elezioni, l’Udc, il partito con cui Mario Monti si era coalizzato, sbagliando gravemente, ha tentato su iniziativa di politici d’esperienza come Pier Ferdinando Casini e Lorenzo Cesa, di mettere le mani su Scelta civica. L’Udc strappava sotto gli occhi di tutti la leadership a Monti, coadiuvata dall’area più retrivamente cattolica di Scelta civica. Ne sono nati dissidi interni che hanno generato attriti e polemiche, fino alla scissione in due diversi gruppi parlamentari: all’ingrosso, uno composto da personalità provenienti da Italia futura, l’altro da democristiani senza casa.
Di seguito, c’è stata pure l’uscita dal partito dello stesso Monti che si mostrava così del tutto privo delle qualità di leader. Monti non aveva capito quanto pericoloso potesse essere il piccolo gruppo democristiano per un partito di neofiti com’è Scelta civica. Noi si voleva essere e si è liberali, riformisti veri e laici, gli altri volevano solo conservare le poltrone che occupano da decenni, mascherandosi dietro un nuovo simbolo.
Nel corso di quest’anno di legislatura Monti non ha mai dimostrato né capacità di guida politica né, soprattutto, sensibilità sociale, ovvero quella qualità che ti permette di aggregare diversità intorno a delle buone idee comuni. Credo, infatti, che Scelta civica abbia dato al Parlamento e al Governo le personalità più valide e competenti. Ma senza una guida decisa le difficoltà sono sempre state enormi e oggi le stiamo superando solo grazie a un enorme lavoro di squadra.
L’altra sera, mi trovavo in un ristorante romano e a un tratto è entrato proprio Monti accompagnato da una signora. Si guarda intorno, saluta qualcuno, mi guarda, poi saluta il ristoratore; mi guarda ancora, con l’espressione di chi vede una persona conosciuta ma non ricorda bene chi sia. Infine, passa avanti e si reca in un’altra sala.
Mi sono chiesto, allora, dove pensassimo di andare guidati da un leader che non riconosce, o finge di non riconoscere (poco importa), uno dei deputati eletti nel partito che ha fondato appena un anno fa. Non era la prima volta che Monti non salutava, non solo me ma anche altri deputati. Accadeva persino quando arrivava in riunione, forse per timidezza – non saprei -, ma non faceva certo piacere non essere degnato di un cenno dal proprio leader.
Il gesto di Monti al ristorante è quindi solo l’ultimo atto di una lunga serie, un atto non grave certo, ma dal forte valore simbolico. Monti è un valente economista e merita tutti gli incarichi che gli vengono affidati in Italia e in Europa, ma con la sua mancanza di carisma ha praticamente demolito il partito che ha fondato.
Già da settimane, stanco di tutte queste vicende, meditavo di iscrivermi al Gruppo misto. Poi ho capito che significherebbe arrendersi. Ho deciso quindi che rimarrò nel partito con cui ho iniziato il mio impegno in politica, con la passione sempre sincera con cui ho vissuto tutte le battaglie della mia vita.