Messina Denaro: "Le telecamere, gli amici, la corruzione"

Messina Denaro: “Le telecamere, gli amici, la corruzione”

Il capomafia racconta la sua latitanza in mezzo alla gente

PALERMO – “Il dottore Alfonso Tumbarello, questo non sa niente, è stato arrestato ma non sa niente”. Così mette a verbale Matteo Messina Denaro lo scorso febbraio, interrogato dai pubblici ministeri di Palermo. Il padrino corleonese tenta di scagionare alcune persone arrestate con l’accusa di averlo aiutato. Di fatto, però, con le sue dichiarazioni finisce per inguaiare il geometra Alfonso Bonafede.

Tumbarello è il medico di Campobello di Mazara che ha prescritto visite e farmaci al capomafia. Bonafede è l’uomo che gli ha prestato l’identità. Per stessa ammissione di Matteo Messina Denaro lo avrebbe fatto sapendo di avere a che fare con il latitante. Il padrino, però, esclude che sia “uomo d’onore riservato”. Un ruolo che, dice, non esiste. “Farlocco” come il reato di concorso esterno in associazione mafiosa. Strano che a dirlo sia qualcuno che sostiene di conoscere Cosa Nostra solo “dalla Tv”.

Messina Denaro e l’amicizia con Andrea Bonfafede

Quando il padrino ha scoperto di avere un tumore, racconta, “io avevo l’amicizia con Andrea Bonafede, un’amicizia però remota perché suo padre lavorava da noi, da mio padre e poi mio padre era amico di suo zio, lui aveva un altro zio indiziato mafioso condannato per mafia”.

Ed è ora che di fatto lo inguaia, seppure sminuendone il ruolo: “Allora lo vado a trovare e gli dico, lui nemmeno mi ha riconosciuto all’inizio, sono combinato in questo modo tu mi puoi aiutare o mi vuoi aiutare. Sto morendo lui mi dice certo che ti aiuto. Dissi alt, però devi sapere a cosa vai incontro perché nel caso in cui a me finisce male anche se muoio tu sarai sempre arrestato perché poi lo capiscono anche da morto che sono io. Dice che fa non ti aiuto, non riuscirei a dirti no. Ci dissi l’importante è che lo sai”.

Bonafede ha ricevuto qualcosa in cambio? “No, no Andrea, non c’è questa mentalità, non siamo palermitani senza avere nulla contro i palermitani. Io ci sono andato al posto di lavoro anche perché se ci andavo a casa mi arrestavate perché c’era la telecamera che guardava a casa sua”. Messina Denaro era braccato, ma aveva un sistema per individuare gli occhi elettronici: “Tutte le telecamere di Campobello e Castelvetrano le so primo perché ho l’aggeggio che le cercava che non l’avete trovato e poi perché le riconosco”.

Le confessioni del boss durante l’interrogatorio

Dove nasconde “l’aggeggio?”, “in un altro posto… no a Campobello, era un altro non era in quella casa”, spiega in uno dei tanti passaggi dell’interrogatorio in cui si compiace di sé e duella con i magistrati. Chi notava qualcosa di strano correva subito ad avvertire Messina Denaro: “Me lo dicevano. Amici miei che non dico”. C’erano, dunque, tante persone che sapevano chi fosse realmente: “Molte ve li siete portati”. Altre però sono ancora a piede libero.

Fu Andrea Bonafede che coinvolse il cugino omonimo, operaio al Comune, per andare a ritirare le ricette dal medico, ma sarebbe all’oscuro di tutto. Messina Denaro è uscito allo scoperto solo per curarsi: “…mi sono messo a pensare ed ho seguito un adagio, un proverbio ebraico che dice ‘se vuoi nascondere un albero piantalo nella foresta’… ora che ho la malattia e non posso stare più fuori e debbo ritornare qua perché qua mi gestivo meglio nel mio ambiente, non posso fare alla Provenzano dentro la casupola in campagna con la ricotta e la cicoria con tutto il rispetto per la ricotta e la cicoria ma io dovevo uscire dovevo mettermi in mezzo alle persone perché più mi nascondo più sono arrestato. Da quel momento io mi sono messo a fare la vita da libero…”.

Ed ha iniziato a vivere come un uomo qualunque a Campobello di Mazara: “… allora se voi dovete arrestare tutte le persone, scusi se rido, ma è diventata poi una barzelletta, che hanno avuto a che fare con me a Campobello penso che dovete arrestare da due a tremila persone di questo si tratta. Allora mi sono creato un altra identità, Francesco… io giocavo a poker, mangiavo al ristorante… abbiamo detto che eravamo cugini io venivo da fuori senza fare nomi e siamo diventati io sono diventato amico di mezzo paese…”.

L’arresto e il legame con Giovanni Luppino

Un altro che l’ex latitante tenta di scagionare è Giovanni Luppino, l’uomo che si trovava con lui il giorno dell’arresto alla clinica La Maddalena di Palermo. Gli avevano detto “che io vengo dal Venezuela… poi mentre camminavamo gli ho detto vedi che la situazione è questa e lui mi sorprende e mi dice ma sai che l’avevo capito… secondo me non aveva capito chi fossi io aveva capito che c’era qualcosa che non andasse”.

Sul conto di Andrea Bonafede, però, Messina Denaro esclude che faccia parte di Cosa Nostra e rivela un dettaglio ambiguo, uno dei tanti: “Allora se Andrea Bonafede fosse stato mafioso il momento in cui cioè subito sentiva la notizia, arrestato a Palermo il tizio, lui dopo un minuto sarebbe sarebbe stato in quella casa ed avrebbe tolto le cose che sapeva di togliere nella sua mente… non ci doveva essere più niente invece lui si è fatto solo il suo lavoro, lui ha pensato sicuramente lui che aiuto voleva da me, i documenti”. È accaduto altrove, nell’altro luogo riservato al quale fa spesso riferimento nel verbale reso al procuratore di Palermo Maurizio De Lucia e all’aggiunto Paolo Guido?

Infine una riflessione: “C’è una corruzione, fuori… una corruzione fuori indecente… si sono concentrati sempre tutti su di me e quello che c’è fuori forse voi pensate di immaginarlo tutto ma non lo sapete”.


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