PALERMO – Una manciata di giorni fa. Nella masseria di contrada Lippone si registra l’ultimo passaggio della corrispondenza di Matteo Messina Denaro. Quella gestita da Vito Gondola era davvero l’attuale rete di trasmissione del super latitante. Una rete attiva fino a poche ore prima del blitz che ieri ha portato in cella l’anziano capomafia di Mazara del Vallo e altri dieci fedelissimi del latitante.
Carabinieri e poliziotti hanno monitorato strani movimenti attorno alla vecchia costruzione nelle campagne mazaresi. Fino all’ultimo gli uomini di Vito Gondola hanno svolto il loro compito di pizzinari, pur sapendo, come loro stessi dicevano nelle intercettazioni, di essere ormai braccati. Delle ultime ore di indagini non c’è traccia, non può esserci traccia nell’ordinanza di custodia cautelare firmata dal giudice per le indagini Maria Pino, su richiesta del procuratore Franco Lo Voi, dell’aggiunto Teresa Principato e dei sostituti Paolo Guido e Carlo Marzella. Telecamere e microspie sono rimaste accese, confermando che Matteo Messina Denaro c’è ma non si vede.
Scrive, o fa scrivere, le sue direttive, le spedisce, ma resta un fantasma. Nella popolosa e super controllata fetta della provincia trapanese pochi giorni fa sono arrivati i suoi ultimi ordini. Ordini che, però, nessuno potrà eseguire visto che la rete del capomafia di Castelvetrano è stata smantellata. Cadono gli ultimi pezzi di uno scacchiere decimato dagli arresti. Negli ultimi anni oltre cento persone sono finite in cella. Parenti del capomafia, inclusi. Il procuratore aggiunto Teresa Principato parla di indagini ancora in corso sulle protezioni ad alto livello che garantirebbero a Messina Denaro una fuga che va avanti ormai da ventitré anni. Di certo, e questo lo dicono gli investigatori che lo braccano sul campo, il boss di Castelvetrano continua a godere dell’aiuto di un intero territorio su cui domina incontrastato. Contatti ci sono pure con i mafiosi paleritani, ma non tali da aver la certezza che sia il solo capo dell’intera Cosa nostra che, però, come precisa Lo Voi, è e resta un’organizzazione unitaria, diversamente da camorra e ‘ndrangheta dove si assiste ad una parcellizzione del potere.
Messina Denaro c’è ma non si vede, e qualcuno bene informato sostiene pure che potrebbe non essere in Italia. Se così fosse c’è da chiedersi come faccia a mettersi in contatto con la “carrozza”, come la chiamavano Gondola e compagni, e cioè con l’uomo misterioso che costituisce l’anello terminale della catena di trasmissione. A lui doveva fare riferimento lo stesso Gondola, che non è detto sia a conoscenza della sua identità, una volta raccolte le istanze del territorio da trasmettere a Messina Denaro assieme alle risposte che lo stesso latitante pretendeva dai suoi uomini.
Uomini chiamati al dovere del silenzio. Si chiudono a riccio nelle lorloro o abitudini rurali. Nelle centinaia di ore di intercettazioni captate, i nastri delle microspie ci offrono solo due passaggi in cui Messina Denaro smette di essere il convitato di pietra, il capo che tutti evocano ma che nessuno osa citare. “…Matteo che si interessa…è fuori…”, si è fatto scappare Michele Gucciardi, sessantaduenne capomafia di Salemi, parlando con Gondola che, dal canto suo, giustificava così il comportamento del latitante: “… non si fa vedere mai perché sta troppo … troppo guardingo”. In realtà, c’è chi va ben oltre l’aggettivo guardingo. Secondo la Principato, il capomafia “è una sorta di parassita che non tiene conto dei legami familiari, ma usufruisce dei soldi che i suoi uomini possono fargli avere”.
Già, perché Messina Denaro, come tutti i comuni mortali, ha bisogno di soldi. Delle due l’una: o è riuscito a costruirsi una vita parallela talmente anonima da non destare sospetti oppure qualcuno deve passargli i soldi per starsene rintanato chissà dove. Cosa accadrà adesso? Quello che è già avvenuto nel 2010 quando finirono in carcere i cognati di Messina Denaro, Filippo Guttadauro e Vincenzo Panicola. Il boss si inabisserà nella speranza – finora è stata una certezza – di rimpiazzare le pedine della sua rete. Anche l’inabissamento presuppone la disponibilità di denaro. A parte l’uomo misterioso che raccoglie la sua posta e le protezioni ad alto livello, i soldi sono il cuore delle indagini future. E non parliamo del mega patrimonio che Messina Denaro ha accumulato in questi anni (sterminato è l’elenco delle imprese che sono finite sotto sequestro perché a lui riconducibili).
Le indagini del pool investigativo creato ad hoc per dargli la caccia – ne fanno parte poliziotti delle Squadre mobili di Palermo e Trapani, agenti del Servizio centrale operativo e carabinieri del Ros – si concentrano sulla Svizzera. È in terra elvetica, crocevia di migliaia di scambi di denaro, che si potrebbe celare il canale di rifornimento del latitante. In Svizzera, a Locarno, è nato Domenico Scimonelli, uno degli undici arrestati di ieri, che ufficialmente faceva il titolare di un supermercato Despar. Che sia lui l’uomo che ha “distratto” somme di denaro facendole transitare da alcuni istituti di credito in modo che poi venissero girati su chissà quale conto in realtà riconducibile a Messina Denaro?
Nel frattempo, si spera nell’errore che anche il più furbo e pericoloso dei latitanti potrebbe commettere. C’è una storia ricostruita a più riprese dagli investigatori che cozzerebbe con la figura del padrino diffidente e guardingo finora tracciata. Dalle intercettazioni emergerebbe che qualcuno aveva ricevuto un pizzino fuori dal meccanismo di trasmissione retto da Gondola. Si tratterebbe di Giuseppe Fontana che, stando alle parole di Gucciardi, nel giugno 2013 aveva ricevuto “questo coso (e cioè un pizzino ndr)… l’altro ieri”.
Chi è Fontana? Nato a Castelvetrano nel 1957, tre anni fa ha finito di scontare vent’anni di carcere, o giù di lì, per traffico di droga. Nella sua fedina penale c’è anche un’inchiesta dove era indagato in concorso con Messina Denaro. Nel novembre scorso il nome di Peppe Rocky, così è conosciuto Fontana, era nell’elenco degli arresti nella stessa operazione che portò in cella il nipote di Messina Denaro, Girolamo Bellomo. L’ipotesi è che avesse partecipato ad una maxi rapina per finanziare il clan. Tra le pieghe di quella misura cautelare venne fuori un episodio dell’agosto 2013. A casa Fontana furono rubati gioielli. E partì la caccia all’autore del furto perché parte della refurtiva apparteneva alla famiglia di Matteo Messina Denaro.
Alla fine le “indagini” di Cosa nostra si concentrarono su un altro pregiudicato che fu sequestrato sotto gli occhi della compagna e della figlia, rinchiuso in un casolare e massacrato a botte. Lo abbandonarono per strada in fin di vita. Un pestaggio brutale autorizzato, secondo gli inquirenti, da Bellomo: chi aveva osato rubare a casa di uno che “si è fatto vent’anni di galera” andava punito in modo esemplare. In un’intercettazione c’è chi è stato registrato mentre diceva: “… ma gli ha fottuto 60 mila euro d’oro, alla madre di Matteo… 60 mila euro d’oro, tutto, proprio da lei, l’oro pure della signora Lucia avevano preso”. Stavano parlando della madre del latitante e di Lucia Panicola, suocera di Patrizia Messina Denaro.