CATANIA- Maxi sequestro di armi a Catania: i Carabinieri del Comando Provinciale hanno proceduto nella notte ad un vero e proprio blitz nel quartiere “Librino” eseguendo numerosi controlli nei confronti di pregiudicati ed ispezionando numerosi stabili. Nel corso delle attività, che hanno visto l’impiego di un cospicuo numero di militari, con il supporto del servizio aereo e delle unità cinofile è stato rinvenuto, all’interno di un’intercapedine di un palazzo, ben occultato in borsoni, un vero e proprio arsenale composto da quasi 60 armi da fuoco – pistole, fucili mitragliatori da guerra- e relativo munizionamento.
L’operazione si inquadra in una più ampia strategia di contrasto coordinata dalla Procura della Repubblica di Catania e concepita a seguito dei quattro fermi operati a carico dei responsabili dell’efferato omicidio occorso giorni addietro nel quartiere e che ha ingenerato ritorsioni nei confronti dei parenti degli indagati.
“Una potenza di fuoco grandissima”. Il comandante Alessandro Casarsa non nasconde il proprio stupore presentando alla stampa i risultato del maxi sequestro di armi effettuato a stamani Librino. Un’operazione veloce, nata dagli sviluppi delle indagini sull’agguato in cui è caduto Daniele Di Pietro. “Un duro colpo alla criminalità, abbiamo disarmato delle mani che avrebbero potuto uccidere. Insomma, abbiamo fatto un’operazione di bonifica”.
È servito alche l’utilizzo di reparti di speleologi per recuperare parte delle circa 60 armi di cui era composto l’arsenale. Alcune di esse erano nascoste nelle intercapedini degli ascensori. I carabinieri ora punteranno, attraverso gli esami balistici, a ricostruire la storia di ogni singola arma. “Arrivano sicuramente – aggiunge il comandante – da circuiti illegali e alcune di esse hanno una probabile provenienza internazionale. Si tratta di veri e propri strumenti di guerra”. Trovati anche due giubbotti antiproiettile.
Casarsa ha peraltro ricostruito le fasi che hanno portato all’arresto dei tre presunti assassini. “Non si sono costituiti dai Carabinieri perché loro sono il cosiddetto male minore. Subito dopo l’omicidio i militari dell’arma hanno seguito una loro strada. Diciamo che è stata fatta terra bruciata intorno a loro. Altre ricostruzioni rientrano più dentro strategie processuali, che investigative“.