PALERMO – Lo hanno arrestato pochi giorni fa nella sua casa romana nel quartiere Parioli. L’architetto Salvatore Scardina è tornato in cella dopo che la Cassazione ha accolto il ricorso della Procura di Palermo, ribaltando la decisione di rimetterlo in libertà del Tribunale del Riesame. Il processo si sta celebrando davanti al gup Nicola Aiello.
Di lui si tornò a parlare nel dicembre 2015. Faceva parte dell’elenco dei 38 arrestati dai carabinieri. Nella nuova mafia della provincia palermitana l’architetto sessantacinquenne avrebbe rivestito il ruolo di grande vecchio. Chi meglio di lui, dissero gli investigatori, che aveva avuto come interlocutori i padrini della mafia corleonese.
Il suo nome saltò fuori assieme quello di Salvatore Martorana, che di mestiere faceva il mediatore immobiliare. Nei paesi siciliani si chiamano sensali. E in un paese, a Santa Flavia, Martorana faceva il consigliere comunale di minoranza. Era stato eletto nel 2012 in una lista civica. I carabinieri avrebbero ricostruito il suo ruolo nell’estorsione ai danni di un costruttore, “costretto” a pagare 20 mila euro per avere il via libera all’acquisto di un terreno su cui realizzare degli immobili. La stessa contestazione che ha fatto scattare di nuovo l’arresto di Scardina che in passato è stato un professionista fidato del capomafia Leoluca Bagarella, il cognato di Totò Riina. Finita di scontare una condanna a otto anni, l’architetto era tornato alla libera professione, dopo avere ottenuto la riabilitazione dal Tribunale di Sorveglianza. Non in Sicilia, ma a Roma. Ed era diventato anche un frequentatore delle serate mondane della Capitale raccontate dalla stampa patinata. A Santa Flavia, però, tornava spesso. E di lui tutti avevano un grande rispetto. Rispetto “mafioso” secondo i pm Francesca Mazzocco e Caterina Malagoli.
Il pentito Sergio Flamia di lui diceva che era “un influente e carismatico uomo d’onore bagherese che, seppur non ricoprendo cariche formali, era in grado di gestire autonomamente dinamiche mafiose anche di alto profilo, senza l’autorizzazione dei vertici operativi che via via si succedevano alla guida del mandamento di Bagheria”.
La sua autonomia lo avrebbe portato a gestire in maniera riservata l’estorsione ai danni del costruttore, con la collaborazione di Martorana. A ricostruire la faccenda è stato lo stesso imprenditore: “Martorana mi disse che i soldi non erano una mediazione, ma una messa a posto per non avere problemi in futuro”. E aggiunse che “dietro di lui c’era un personaggio autorevole che mi indicò in Scardina. Ho consegnato a Martorana 20 mila euro in contanti nel mio ufficio a Santa Flavia e in più soluzioni.
Ad un certo punto, però, in cantiere si presentò il boss di Bagheria, Antonino Zarcone. Pretendeva la messa a posto e cadde dalle nuvole quando l’imprenditore gli disse che aveva già dato i soldi a Martorana. Zarcone non gradì, ma sapeva, così sostengono gli investigatori, dell’autonomia di intervento riconosciuta a Scardina. Il risultato fu che il giovane boss, che si sarebbe poi pentito confermando il racconto dell’imprenditore, non chiese la restituzione di un solo euro all’architetto e, invece, impose al costruttore di sborsare altri quindici mila euro. Soldi che la vittima non pagò perché nel frattempo Zarcone fu arrestato.