PALERMO – “È finita”, ha detto Messina Denaro al suo autista, il giorno che li hanno arrestati. Poi un saluto, forse addrittura un bacio. Pericoloso e accorto. Secondo il giudice per le indagini preliminari Fabio Pilato, Giovanni Luppino, deve restare in carcere. Dopo la convalida dell’arresto, il gip ha disposto la misura cautelare più grave.
Nel frattempo proseguono i rilievi dei carabinieri del Ris nei tanti covi e immobili nella disponibilità di Matteo Messina Denaro. Per ultimo in queste ore sono in corso perquisizioni anche in diversi appartamenti a Castelvetrano nella disponibilità dei parenti più prossimi del latitante e dei loro amici. In particolare quelli del fratello Salvatore Messina Denaro, storicamente legato alla famiglia Risalvato, proprietaria della casa dove è stata trovata la camera blindata.
Luppino al giudice ha raccontato di avere conosciuto sei mesi fa Matteo Messina Denaro. In realtà gli era stato presentato da Andrea Bonafede, l’uomo a cui era intestata la carta d’identità del latitante. Gli aveva detto che si trattava del cognato, di nome Francesco. Eppure nonostante lo avesse visto soltanto una volta, lunedì mattina, a suo dire, Messina Denaro avrebbe bussato alle 5:45 del mattino alla sua abitazione per chiedergli un passaggio in direzione clinica La Maddalena a Palermo.
Secondo la Procura e il Gip, sta mentendo. Un latitante del calibro di Messina Denaro non si affida ad uno sconosciuto. Luppino ha mostrato grande accortezza. Ha spento i telefonini che aveva addosso, dopo averli messi in modalità aereo. Uno stratagemma per evitare il tracciamento dei suoi spostamenti.
Nel momento in cui è stato fermato aveva anche un coltello a serramanico di 18,5 centimetri. Nel suo portafogli una serie di pizzini con numeri di difficile decifrazione. Bisogna approfondire, Luppino potrebbe non essere stato “solo” un favoreggiatore.
Il giudice è convinto che conosca i segreti dellatitante e che se venisse rimesso in libertà potrebbe approfittare del prestigio che ha acquisito e della conoscenza della rete di amici di Messina Denaro per far perdere le proprie tracce e inquinare le prove. Ecco perché deve restare in carcere. Gli vengono contestati sia il favoreggiamento che la procurata inosservanza degli ergastoli che sono stati inflitti negli anni a Messina Denaro.
Nonostante sia incensurato, “deve sottolinearsi che, per quanto allo stato è dato sapere, l’indagato risulta la persona più vicina allo storico capo della mafia trapanese su cui forze di polizia giudiziaria e magistratura siano riusciti ad oggi a mettere le mani”. Così scrivono i pm di Palermo nella richiesta di convalida dell’arresto.
Luppino, titolare di un’impresa che vende olive, è dunque un “collaboratore certamente fidato… capace di mantenere fino ad oggi l’anonimato e il suo stesso stato di latitanza a fronte di centinaia di arresti di fiancheggiatori e decine di prossimi congiunti, verosimilmente custode di verità inerenti le pagine più cupe della storia repubblicana”.
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