"Stragi, gentaccia, mascalzoni": il verbale inedito di Messina Denaro

Le stragi, il “dialogo con lo Stato”, Falcone: il verbale di Messina Denaro

Ha parlato di "gentaccia", "mascalzoni" e "attentati"

PALERMO – Ha negato di conoscere gli altri boss sanguinari come lui. Solo sui fratelli Brusca si è lasciato andare ad un commento sprezzante. “Gentaccia”, li ha definiti. Ha parlato della missione romana per uccidere Giovanni Falcone, della strage di Firenze del ’93 e di tanto altro ancora. Cominciano a cadere gli omissis dagli interrogatori resi da Matteo Messina Denaro prima di morire.

Il 16 febbraio scorso, un mese dopo l’arresto, il capomafia ha risposto alle domande del giudice Alfredo Montalto e dei pubblici ministeri Giovanni Antoci e Gianluca De Leo. Era ancora in buona salute e con l’ambiguità che ha caratterizzato tutti gli incontri avuti con i magistrati di Palermo. Apparentemente disponibile, certamente cortese, per niente pentito, ha dato la sensazione di volere reggere i fili del discorso e di avvelenare i pozzi.

La missione romana

Totò Riina? “Non lo conosco”. Leoluca Bagarella? “Non lo conosco”. I fratelli Graviano? “Non conosco nessuno di questi”. Montalto gli ha ricordato che nel marzo 1992 era andato in missione a Roma per conto di Totò Riina.

Era uno degli uomini incaricati di pedinare Giovanni Falcone, e non solo, per eliminarlo: “Io a Roma ci andavo sempre – ha spiegato – ci andavo spesso anche una volta a settimana, due volte a settimana perché avevo anche una mia parte di vita lì… avevo pure una barca a Ostia che non è stata mai individuata che poi io ho alienato, dopo che mi è successo tutto questo e quindi ci andavo anche per questo perché la barca non era intestata a me io me ne andavo in auto e poi ritornavo in auto”.

In realtà Messina Denaro a Roma andò anche a ispezionare il Teatro Parioli, prima dell’attentato a Maurizio Costanzo: “Non mi interessano queste cose. Non sono creduto ovviamente ma io dico la mia verità”. Il giudice lo ha incalzato e lui ha risposto: “Non conosco il signor Brusca, mi accusa di tante cose. Infatti ho sempre cercato un dialogo con qualcuno dello Stato, nel senso come stiamo facendo ora noi, non faccio cose segrete, per poter chiarire la mia posizione”.

Montalto è stato il presidente della Corte di assise nel processo sulla trattativa Stato-mafia. Una casualità? “Presidente mi scusi mi sono espresso male. Quando ho detto cercavo un qualcuno con cui io potevo discutere questo fatto intendevo quando sarei stato catturato come poi è successo. Nel caso in cui io fossi stato catturato speravo che mi dessero la possibilità di poter difendermi di sto fatto di questo bambino sciolto da me nell’acido”. L’ennesima farsa.

Il piccolo Di Matteo e Falcone

“Brusca dice che ad un tratto, non so in quale data e non so in quale posto ha detto, ma non era Palermo, dice che si è incontrato lui, io, Graviano Giuseppe e Bagarella e dice che abbiamo deciso del sequestro del piccolo Di Matteo con la finalità di far ritrattare il padre – ha proseguito -. Allora la prima cosa che io mi pongo come domanda a me stesso che cosa c’entro io di Castelvetrano di un’altra provincia a discutere delle cose di San Giuseppe Jato questo non l’ho mai capito”.

Ha fatto riferimento a Giovanni Falcone “perché il giudice Falcone ebbe l’intelligenza e anche il metodo di creare il teorema Buscetta e lo seguiva, ad un tratto dopo tutto quello che è successo nell’arco degli anni il teorema Buscetta lo dimenticarono come se non fosse mai esistito, ma lo fece Falcone e hanno mischiato, da noi si dice, le pietre con le uova, ma le pietre con le uova poi si rompono”.

Brusca “mascalzone”

La condanna per avere partecipato al delitto del piccolo Di Matteo è quella che lo infastidiva di più: “Il bambino da quello che dice (Brusca, ndr) lo ha ucciso per vendetta, alla fine è stato un disonesto pure in questo… visto che non c’era più speranza che il padre ritrattasse… su un bambino, mascalzone che non sei altro. Capisco che se avesse trovato il Santo Di Matteo lo uccideva, ma che c’entra sto bambino dato che lo scopo non poteva mai più accadere quello che lui si era prefissato… lui dice che in quell’occasione si decise il sequestro io invece sono stato condannato per l’omicidio e ho preso l’ergastolo”.

La strage di Firenze

Non sono stati gli unici bambini uccisi dalla mafia e da Messina Denaro. Nella strage di Firenze del 1993, tra le cinque vittime c’erano Nadia e Caterina Nencioni di nove anni e due mesi: “Parlando di Firenze, a prescindere che io non so niente di Firenze poi quello che dicono i collaboratori di legge se la vedono loro, io non so niente anche perché riscontri oggettivi non ce ne sono”. Ma ha continuato a negare il suo coinvolgimento: “Firenze qualora fosse vero, ma sulla mia persona non è vero, non è che si volevano uccidere persone anche perché ci sono collaboratori di legge che dicono che la finalità non era uccidere delle persone solo che il problema è stato, secondo me, che sono andati con la ruspa”.

Ha usato una metafora per fare comprendere il senso delle sue parole: “Cioè hanno ucciso la mosca con cannonate perché si sa che se si mettono bombe possono cadere degli innocenti ma la finalità di come dicono alcuni non era uccidere alle persone era prendersela con i beni dello Stato”.

Sembra criticare il modo in cui è stato organizzato l’attentato: “C’è da vedere a chi mandano a fare una cosa del genere cioè che testa hanno che intelligenza hanno perché mettiamo caso che io andavo a Firenze a mettere questa bomba giusto con le stesse finalità non sarebbe morto nessuno perché io una bomba là non la mettevo perché ho una coscienza mi spiego… non è stato un errore, è stato menefreghismo che è peggio perché l’errore può essere perdonato”.

Totò Riina

Sul fatto che il padre, don Ciccio Messina Denaro, lo avesse affidato a Totò Riina come se fosse un secondo padre, ha tagliato corto: “Mio padre si chiamava Francesco Messina Denaro e ho avuto solo un padre, mi sarei schifato di lui se mi avesse assegnato a qualche altro a me mi ha cresciuto mio padre e mia madre ne sono orgoglioso. Altri padri non ne ho avuti”.

Il capo dei capi, intercettato in carcere, se la prese con Messina Denaro, accusandolo di pensare solo a fare soldi. “I pali dell’eolico se li infili…”, disse. “Si deve tenere presente che il signor Riina diceva un sacco di cretinate (per colpa della demenza senile) – ha messo a verbale il capomafia di Castelvetrano un mese dopo l’arresto -, se Riina avesse conosciuto me avrebbe avuto rispetto di me perché io non sono stato mai una persona sguaiata, non ho mai avuto questi modi di linguaggio solo che Riina secondo me non c’era più”.


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