Di Sergio Rizzo (tratto dal Corriere della Sera)
Sedici pagine sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana e altrettante sul Bollettino ufficiale della Regione siciliana, per migliaia e migliaia di copie: chissà quanti alberi sarebbero stati sacrificati per stamparle, se non fosse per l’uso della carta riciclata. E tutto ciò perché l’intera cittadinanza italiana venga edotta, con meticolosa dovizia di particolari, che un albero di Messina è stato dichiarato per legge di “notevole interesse pubblico”. Avete capito bene: un solo albero.
Bello, bellissimo, da far invidia ai suoi consimili dell’Orto botanico cittadino, dove, dicono gli esperti, non ce n’è uno paragonabile. Ma tutto sommato né unico né particolarmente vecchio.
È un esemplare di Pittosporum tobira, specie vegetale originaria del Giappone, che viene utilizzata per le siepi dei giardini pubblici. Più semplicemente, un pittosporo. Ecco come l’ha descritto il 23 gennaio 2002 Rosa Maria Piccone del Dipartimento di scienze botaniche dell’Università di Messina che fu incaricata di fare una relazione a sostegno della proposta di vincolare la pianta: “L’esemplare da me osservato è un alberello alto circa 4 metri, che ha sviluppato la caratteristica chioma ad ampio ombrello, con un diametro di metri 6,60, quasi perfettamente emisferica… Considerato che questa specie ha una crescita del tronco estremamente lenta, questo esemplare ha sicuramente più di 50 anni di età, probabilmente fra i 70 e i 100 anni”. Insomma, stando alla professoressa Piccone si tratterebbe di una pianta appena più anziana del suo padrone, ovvero l’autore della richiesta presentata sette anni fa alla Soprintendenza dei Beni culturali e ambientali. Perché quell’alberello meraviglioso non si trova sulla pubblica via, bensì in un giardino privato che affaccia sul mare, in via Consolare Pompea, di proprietà del signor Giuseppe Raffa, settant’anni il prossimo 30 novembre. Ex agente di commercio in pensione, spiega: “Perché ho chiesto il vincolo alla Soprintendenza? Me lo consigliarono alcuni esperti. Adesso nessuno potrà tagliare o spostare l’albero”.
Certo, non è stato facile. Prima la richiesta alla Soprintendenza, il 16 gennaio 2002. Quindi la relazione di parte. Poi, dopo quasi cinque anni anni, il 20 dicembre 2006, i dirigenti del Soprintendente Rocco Scimone, vergarono un rapporto favorevole. E trascorso un altro anno, si riunì la Commissione provinciale per la tutela delle Bellezze naturali e panoramiche di Messina, che deliberò “all’unanimità” la concessione “di vincolo della bellezza individua” al pittosforo del signor Raffa. Non era finita. Il decreto del “Dirigente del servizio tutela del dipartimento regionale dei beni culturali e ambientali” Daniela Mazzarella, è arrivato soltanto il 20 aprile scorso. Mentre la pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale della Repubblica italiana è di lunedì 13 luglio: a quasi otto anni di distanza dalla richiesta. Anche il pittosporo messinese ha così potuto sperimentare sulla propria corteccia la lentezza della burocrazia italiana. Per non parlare dei costi. Timbri, relazioni, riunioni di commissioni, decreti e Gazzette ufficiali stampate in migliaia di copie per decine di migliaia di fogli.
Non senza, però, qualche interessante conseguenza pratica. Per comprenderne la portata bisogna leggere la relazione della Soprintendenza del dicembre 2006, un documento di due paginette dove forse c’è la spiegazione. Poche righe in fondo, per rammentare che ai sensi del secondo comma dell’articolo 138 del codice civile in caso di vincolo accordato al vegetale, “eventuali modifiche, potature straordinarie e ulteriori piantumazioni” dovranno essere autorizzate dalla Soprintendenza. Ma soprattutto che “non si potranno consentire ampliamenti della costruzione retrostante, né la realizzazione di ulteriori corpi di fabbrica nel giardino”. Non c’è che dire. L’ex agente di commercio adesso ha la sua bella assicurazione ecologica. Morale: a questo punto per combattere la cementificazione selvaggia della costa siciliana non resta che piantare pittospori ovunque. E poi chiedere di vincolare il vegetale. Mica fesso, il signor Raffa: “Perché ho chiesto il vincolo? Quando fa molto caldo, sotto quella chioma c’è un fresco incredibile. Non sa che cos’è, d’estate, prender il caffè lì sotto”.