Gianfranco Miccichè, in una intervista a LiveSicilia.it, dieci giorni fa, aveva detto: “Quando mai! Te lo ripeto: morirò forzista. Altro sono i discorsi che si possono portare avanti tra persone intelligenti”. La domanda era: ‘Ma è vero, come qualcuno sussurra, che lei starebbe per passare con Raffaele Lombardo?’.
Lo stesso Miccichè dice, in una nota ufficiale, nel commentare quel passaggio già consumato: “Mpa di Raffaele Lombardo è la scelta più coerente per chi come me si è speso per la Sicilia e per la sua autonomia”.
E ancora: “Forza Italia concepita in Sicilia da Berlusconi non esiste più. Sono certo che se il Presidente Berlusconi fosse ancora tra noi avrebbe compreso e incoraggiato questo percorso”. Nitida l’intenzione di porsi come seguace purissimo di un’idea originaria, cercando collegamenti e truppe. Con chi ci sta.
‘Timpulate’ e colpi di scena
Dunque, dopo l’esternazione (sempre con noi, nell’intervista) circa la ‘timpulata’ – parole sue – ricevuta, in quei giorni, da Edmondo Tamajo e Ottavio Zacco, per notissime accuse che condussero alla sospensione dal partito, poi revocata, ecco il colpo di scena, per la verità atteso, ancorché inizialmente smussato.
Micciché – si sa – è un politico innamorato della sorpresa e della copertina. Una natura passionale, irruenta, che vive, politicamente, di amori, di identità e di furori. Le sue posizioni sono un miscuglio di strategia e impeto, con il secondo che può avere la meglio sulla prima.
Con questo ‘scarto’ è intuibile che voglia ricominciare a dare ‘timpulate’ (metaforiche, si confida), dopo averle prese. La motivazione della rivalsa sembra, in questo campo di battaglia, il mare che raccoglie i fiumi delle sconfitte passate.
Alla corte di Raffaele
Il neo-arrivato se la vedrà con Raffaele Lombardo, figura coriacea e tenace, sopravvissuta a vicende che avrebbero accoppato più di un simile.
L’ex presidente della Regione è un comandante, perfettamente in grado di vigilare sui perimetri di competenza, che non ha bisogno di consigli.
Una sommessa annotazione, a margine, ci sentiamo egualmente di azzardarla. Il passo politico di Miccichè, nei repentini cambi di scenario, somiglia al tango, più che al consueto valzer. Il tango è focoso, il posato classicismo del valzer non si presta alla raffigurazione.
Solo che il tango di Gianfranco non è quasi mai l’ultimo, diversamente dal titolo di un arcinoto film. Quasi sempre è il penultimo. Ma questo, Raffaele, lo sa. E già c’è chi, perfidamente, annota: quanto ci metteranno a litigare?