CALTAGIRONE – Se questa è accoglienza. Veniamo informati di una protesta appena iniziata nella oramai famosa struttura di Caltagirone in cui vengono ospitati 110 minori non accompagnati. Tempo fa c’eravamo infiltrati per capire come riuscissero a vivere questi giovani all’interno di una Villa non adatta a questo genere di accoglienza e la foto che pubblicammo dimostrò come in una stanza si fosse riusciti, da parte dei responsabili a far dormire quasi 40 ragazzi. Oggi li troviamo a bloccare una strada di percorrenza a pochi passi dalla Caserma della Comando Compagnia Carabinieri di Caltagirone, infuriati contro tutti coloro che cercano con loro di dialogare dopo che, come ci dicono a più riprese, da mesi invano reclamano ancor prima che i propri diritti l’aiuto della comunità. Riusciamo ad entrare nella struttura dopo oltre un’ora, convincendoli del fatto che la stampa può, in qualche maniera, aiutarli a denunciare lo stato in cui versano.
Durante la protesta i più facinorosi hanno distrutto sedie e vetrate, camminare dentro, fra immondizia e vetri rotti è un’impresa. L’odore è forte, fortissimo, prende in gola e i ragazzi ci spiegano che la cronica carenza di acqua e le pochissime docce a disposizione rendono il lavarsi quotidiano una lotta fra loro che, divisi in etnie già “soffrono” di quelle condizioni di “guerre fra gruppi” che a volte ad alcuni impediscono anche di consumare serenamente i pasti.
Alla domanda sulla qualità dei pasti esplodono in scomposte urla incomprensibili, solo grazie all’aiuto di chi parla francese ed inglese fra i ragazzi riusciamo a farci spiegare la situazione. I pasti giungono a loro detta freddi e sono standardizzati. Lamentano scarse razioni e insufficienza di acqua potabile.
Il vestiario che ci mostrano sembra usurato, ci dicono di averlo preso nei cassoni raccogli indumenti e che invano chiedono da tempo di averne di nuovo. La richiesta più pressante e quella del pocket money (una piccola somma economica settimanale che dovrebbe essere corrisposta ai richiedenti asilo) e che a loro detta non è mai stata data e delle tessere telefoniche. Molti sventolano piccoli biglietti di carta con appuntanti i numeri di telefono dei familiari rimasti nelle nazioni di origine o di parenti sparsi per l’Europa, molti dei quali vorrebbero raggiungere il prima possibile.
A gran voce reclamano tutti il diritto ad essere trasferiti in altre strutture. Dopo le prime diffidenze e dopo essere stati costretti ad esibire il tesserino, per evitare che gli animi degenerassero, saliamo le scale, sporche e unte della struttura, sino a raggiungere un sottotetto dell’altezza di neppure 2 metri nella parte più alta, buia e senza alcuna finestra, dietro una porta scorrevole, superando una catasta di scarpe divise per modello, troviamo una “stanza”. Li dorme un ragazzo che non sta bene, ci dice, nella stessa stanza, ammesso che possa chiamarsi tale, altri letti sino al muro che dista forse 4 metri. Non entriamo completamente per via dell’odore forte e del caldo che ci costringe a scendere velocemente la scala in legno alla ricerca di una finestra da cui poter prendere una boccata di aria.
Un di un tavolo di plastica l’unico giocattolo per questi ragazzini. Con una biro dei tappi di bottiglie e dei cartoncini è stata costruita una dama, l’unico diversivo alla monotonia di chi, in cerca di una vita migliore da mesi, con l’attesa del documento, ha sospeso la propria vita incarcerato in un limbo fatto di burocrazia.
A molti interrogativi riusciremo a rispondere appena riusciremo a incontrare la presidente della Cooperativa che gestisce questo centro, che ci dicono essere di un’altra provincia.
Oggi la cronaca di una rivolta annunciata, di una struttura lager, di cui oltre il cattivo odore, l’immondizia, i letti ammassati in un sottotetto e la devastazione causata dagli stessi ospiti, ci rimarranno gli occhi spenti e tristi di ragazzini cui il diritto alla serenità e alla felicità è stato sospeso in nome di un interesse più importante.