La ong Sea-Watch tiene alti i riflettori su un disastro in mare che ha visto 30 persone disperse al largo delle coste libiche, lanciando pesanti accuse alla Libia e all’Italia in un video dal titolo: “Chi è Stato?”. Nel video, pubblicato in alto in questa pagina e presente anche sui canali social della ong, Sea-Watch ricostruisce la propria versione dei fatti supportata dagli audio delle conversazioni della stessa organizzazione prima col mercantile che ha ritrovato l’imbarcazione naufragata, poi con le autorità libiche e infine con quelle italiane.
Sea-Watch e la responsabilità italiana
Tra i molteplici passaggi telefonici, Sea-Watch segnala appunto lo scambio che sarebbe avvenuto tra il suo equipaggio di terra e un ufficiale del centro di coordinamento dei soccorsi in Italia. Stando alla conversazione registrata nel video, dopo aver ricevuto da Sea-Watch le informazioni sul naufragio e aver appreso che molto probabilmente la Libia non avrebbe inviato alcuna motovedetta per indisponibilità, l’ufficiale italiano avrebbe liquidato l’operatrice con un secco “grazie per le informazioni” per poi congedarla e riagganciare il telefono.
Secondo la guardia costiera, si legge sul Corriere della Sera, “nessuno ha riattaccato in faccia il telefono, come dimostra lo stesso audio, l’ufficiale ha chiuso cortesemente la chiamata ringraziando e salutando. Non siamo tenuti a dare informazioni a chi ci chiama. Noi riceviamo le informazioni, non le diamo. Le sale operative di emergenza avevano già processato le informazioni ed erano già operative”. Le autorità italiane precisano anche che “in queste situazioni se uno Stato non ce la fa chiede il supporto di altri Stati, in questo caso noi. Che infatti abbiamo inviato tre mercantili verso la barca e che siamo stati gli unici a intervenire”.
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