Tra poco sarà il giorno nero, sporco di sangue. Sarà di nuovo quel giorno di sedici anni fa. Torniamo indietro. Torniamo al 1993. Oggi, Giuseppe Di Matteo ancora vive, sogna e ride, nella macchina del tempo della memoria. Ha dodici anni. Tra pochi giorni verrà rapito in un maneggio di Altofonte. Suo padre, Santino, è un “infame”. Parla con i giudici. Consuma cristiani. Deve essere fermato. Il boia principale è Giovanni Brusca, ma nella squadra dell’orrore c’è pure Mimmo Raccuglia che si beccherà un ergastolo per il delitto. Mimmo Raccuglia lo chiamano “il veterinario”. Scanna gli uomini, all’occorrenza. Ma agli animali non torcerebbe un pelo. Ama i cavalli. Pure Giuseppe Di Matteo amava i cavalli. Infatti, ce lo presentano sempre allo stesso modo, con la stessa foto. Un salto oltre la staccionata, verso il futuro. Santino, suo padre, raccontò in una intervista a chi scrive: “Mio figlio voleva fare il veterinario”. Il soprannome di Mimmo Raccuglia. Uno dei suoi carnefici.
Tra poco sarà ancora 23 novembre. Il giorno sporco di sangue, il giorno nero del rapimento. Giuseppe lo uccisero, anni dopo, quando era chiaro che suo padre non avrebbe smesso di parlare. Quando era ormai una larva umana. Lo misero al muro della cella. Uno gli ficcò un ginocchio nella schiena. Uno strinse la corda al collo. Qualcuno raccontò: al picciriddo gli scesero due lacrime sulle guance. E lo sciolsero nell’acido.
Era condannato. Brusca aveva sentenziato, a quanto pare: “Liberiamoci del canuzzu”. Il canuzzu, un animale. Come i cavalli che Giuseppe amava. Come i cavalli che Mimmo Raccuglia ama. Mimmo non torcerebbe un pelo a un animale. Ma non si tira indietro se c’è da dare una mano, se c’è da scannare un bambino. Mimmo Raccuglia è un uomo d’onore.
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