"Misterbianco, San Gregorio e Monreale: Caino, dov'è tuo fratello?"

“Da Misterbianco a San Gregorio e Monreale: Caino, dov’è tuo fratello?”

Il presidente della Comunità di Sant'Egidio sui recenti e tragici fatti di cronaca
L'INTERVENTO
di
4 min di lettura

CATANIA – La prima predicazione di Papa Francesco fuori dalle mura leonine fu nella piccola Lampedusa. E questa domanda – “Caino, dov’è tuo fratello?” – fu ripetuta ben sei volte davanti la piccola folla presente proprio a voler sottolineare il fatto che difronte certi silenzi degli uomini c’è sempre Dio che parla e interroga.

Questa domanda è pertinente per aiutarci a rompere l’assenza di parole di fronte ai tanti episodi violenti dell’ultima settimana in Sicilia.

Penso a quanto è avvenuto ieri a Misterbianco, comune con una forte vocazione commerciale in provincia di Catania, dove una mamma con problemi psichici aggravati da uno stato depressivo ha lanciato dal balcone la figlia Maria Rosa. Di appena sette mesi, causandone la morte. Povera piccola!

Sempre in provincia di Catania, nel comune di San Gregorio, pochi giorni fa un padre ha involontariamente ucciso il figlio che tentava di disarmarlo nel corso di alcuni disordini sorti durante una festa (anche un altro giovane è rimasto ferito al calcagno).

E ancora un’arma da fuoco, questa volta utilizzata da un giovane di 19 anni di un quartiere popolare di Palermo, ha fatto perdere la vita a tre ragazzi in quella che viene chiamata “la strage di Monreale”.

Sempre a Palermo è avvenuto anche lo stupro di una giovane turista nella centralissima via Roma.

Cito anche la minorenne che ad Avola è stata vittima di bullismo: filmata mentre veniva picchiata a sangue per poi ritrovare le immagini sui social.

Tutti questi episodi sono avvenuti nel corso di quest’ultima settimana nella stessa regione che tanto aveva pianto la povera Sara Campanella vittima di femminicidio a Messina esattamente un mese addietro.

“Il silenzio del mondo adulto”

Permettetemi almeno due considerazioni: la prima è il silenzio di un mondo adulto che sembra non avere abbastanza parole difronte al male; la seconda sono i giudizi sprezzanti e il linguaggio volgare che li colora.

È evidente che viviamo in città con troppe armi ed in periferie con troppa gente sola, magari a volte l’unica compagnia è la malattia o la sempre più diffusa depressione.

Come giudicare questo mondo attraversato da povertà materiale ed educativa, da dispersione scolastica, malattia e rassegnazione?

“Caino, dov’è Abele?”

“Questa generazione è persa!” “Ci vuole la Pena di morte!” “Sono degli animali!”. Queste sono solo alcuni dei commenti più diffusi in questi giorni che parlano alla pancia. Ma non fanno bene al cuore di chi li pronuncia e all’anima di chi li ascolta. 

Ma non abbiamo altre parole? Nient’altro da dire? Qualcosina vorrei dirla io. Nessuna generazione è peggiore di un’altra. Nessun uomo è un’animale (ci hanno provato i nazisti nel descrivere gli ebrei come topi per provare a “normalizzare” la loro eliminazione). È assurdo parlare ancora di pena di morte ovvero di un sistema che, a partire dal Gran Ducato di Toscana e da codice Leopoldino, la nostra penisola ha iniziato ad abolire dal 1786!

Insomma, un po’ di cultura ci aiuta sempre ad essere meno banali e a non sminuire il valore della vita umana.

“Caino dov’è tuo fratello?”

Questa domanda continua ad essere rivolta a ciascuno di noi. 

“Ma come, io come Caino?” Ognuno di noi può identificarsi in Caino. Lo ha spiegato Bergoglio sempre a Lampedusa – nel rimanere rassegnati e indifferenti. Nel lasciare sole mamme e bambini, periferie e intere zone della nostra Sicilia (penso all’entroterra). Nel giudicare tutto e tutti senza mai pienamente scandalizzarci delle forti ingiustizie come il dilagare della povertà, la dispersione scolastica, l’emergenza abitativa, l’assenza del lavoro, il consumo del crack, gli anziani soli e altro ancora.

Ma nel sentirci un po’ tutti Caino possiamo abbandonare i giudizi ed i silenzi ed iniziare a rispondere a Dio con parole ricche di umanità e solidarietà. Con gesti concreti nella direzione di una giustizia per tutti capaci di non abbandonare nessuno. Con un linguaggio comune più gentile capace di attraversare città e periferia, generazioni vecchie e nuove, culture diverse oltre gli steccati ideologici.

La Sicilia è bisognosa di parole e gesti nuovi rispetto a quelli di questi giorni, in risposta all’isolamento sociale e ai ghetti. È bisognosa di più scuola e cultura difronte la violenza, di aiutare i giovani a costruire un futuro in questa terra piuttosto che spingerli altrove.
Tutti vittime in questi giorni, compresi gli autori degli omicidi e le loro famiglie. Il vero nemico è la violenza, l’isolamento, il disprezzo che circola, le armi e le troppe contrapposizioni: ecco contro chi lottare!

In questi giorni in cui tutti abbiamo pianto Papa Francesco ricordiamoci – oltre che della sue parole a Lampedusa – anche di quelle dette durante il Covid in una piazza San Pietro vuota. Tanto diversa di quella affollata in questi giorni: “siamo tutti sulla stessa barca”.
Ritorniamo ad ascoltare con atteggiamento nuovo le sofferenze vecchie, a raccogliere ciascuna lacrima versata a causa della violenza. A ricominciare a rispondere in modo saggio ed umano al male dilagante.

Vogliosi di essere una società più adulta e responsabili iniziamo ad assumere un atteggiamento di rispetto e preghiera per ogni vittima, per tutti gli Abele.

Contemporaneamente, con l’umiltà di riscoprirci un po’ simili a Caino, possiamo cominciare a rispondere al bisogno urgente di cambiamento della nostra società. A partire dal cambiamento personale, ciascuno per se con uno sguardo gentile verso tutti.

Oggi è 1 maggio, nel festeggiare i lavoratori e nel promuovere condizioni di lavoro più sicure ricordiamoci pure di lavorare sul cambiamento di noi stessi!


Partecipa al dibattito: commenta questo articolo

Segui LiveSicilia sui social


Ricevi le nostre ultime notizie da Google News: clicca su SEGUICI, poi nella nuova schermata clicca sul pulsante con la stella!
SEGUICI