Sergio Marchionne porterà con sé tutti gli strascichi di una vicenda lunga quattordici anni e che difficilmente nella morte dell’ex amministratore di Fca troverà una composizione. La storia dello stabilimento siciliano di Termini Imerese ha infatti attraversato tutto il mandato del manager scomparso a Zurigo, segnando per sempre gli annali della Fca, all’epoca Fiat, e la geografia politica e sociale di un territorio che in quell’azienda ha riposto per decenni ogni singola speranza di sviluppo, e forse ci crede ancora.
Per gli ex dipendenti, la notizia del giorno è come un filo rosso che rimette tutti in connessione, nonostante siano passati quasi sette anni dal’ ultimo giorno in fabbrica e le strade si siano forzatamente divise.
C’è Roberto Mastrosimone, di Termini Imerese, segretario regionale della Fiom, che in questi anni si è battuto affinché la chiusura della fabbrica non cancellasse in un sol colpo più di duemila posti di lavoro: “Mi dispiace per triste fine che ha fatto Marchionne, io l’ho incontrato di persona almeno cinque volte e di lui mi resta il ricordo di un uomo bifronte. In questi quattordici anni, ho infatti conosciuto due facce della stessa persona: dal 2004 al 2008 quello che aveva in mente un progetto di rilancio del nostro stabilimento, al punto da affidarci la produzione della nuova Lancia Y. Poi, da giugno a dicembre del 2009, a un tratto è venuto fuori il calcolatore, quello che ha messo i sigilli alla fabbrica”.
“Una cordata – prosegue l’ex dipendente – fatta da lui, dalla malapolitica e da una parte di sindacato che ha inspiegabilmente invertito la rotta, scegliendo di delocalizzare in Polonia. Hanno lasciato in mezzo alla strada noi e i lavoratori della Irisbus di Avellino”.
C’è Matteo Paterniti, di Trabia, anche lui impegnato con la Fiom Rsu : “La notizia della morte di Sergio Marchionne ci colpisce e condanniamo tutto l’odio riversato in queste ore sui social. Oggi, per noi, è un uomo che se ne va, ma resta la stessa persona che ci ha inspiegabilmente condannato all’instabilità e all’incertezza”.
C’è poi, Fabio Todaro, termitano come Mastrosimone: “Umanamente è brutto vedere una persona morire così, dall’oggi al domani, senza che il successo conquistato possa bloccare la sofferenza. Ma altrettanto brutto è stato quando, in un freddo giorno di fine dicembre 2011, mi fu affidata l’ultima macchina da mettere a punto: in fabbrica non c’era più nessuno; quel sito, che per decenni aveva rappresentato il cuore pulsante di una provincia operaia era diventato un deserto”.
A differenza di molti suoi concittadini, nel 2016, per Todaro, le porte dello stabilimento si sono riaperte. E’ stato assunto come progettista dalla Blutec, l’azienda che sta lentamente facendo ripartire l’area industriale termitana, non senza difficoltà e incertezze: “Ho dovuto fare dei corsi per aggiornarmi – conclude Todaro – ma nessun lavoro mi ridarà la stabilità e l’orgoglio che ci dava essere dipendenti Fiat”.
C’è pure Giuseppe Chiaramonte, che da Trabia si è dovuto trasferire per due anni in Serbia e poi a Melfi, in Basilicata. Lui è uno dei “coraggiosi” che hanno lasciato qui mogli e figli, per accettare la proposta dell’azienda di andare fuori: “Sono sei anni e mezzo che sono lontano dalla famiglia per lavoro, sempre in FCA. Quando la mente torna alla chiusura di Termini, mi porta a soffrire ancora. Ma per la chiusura dello stabilimento di Termini Imerese dovremmo prendercela con l’incapacità della politica siciliana e dei sindacati”.
In controtendenza col parere di molti colleghi, Chiaramonte riconosce a Marchionne i meriti di un uomo che “a dispetto di costi maggiori imposti dall’Europa, di una burocrazia e tasse da incubo, di infrastrutture da terzo mondo, è riuscito a non far fallire la più grande azienda italiana, ed a rilanciarla assieme a Crysler, lasciata da Mercedes sull’orlo del fallimento”.
Ma dove ci sono speranza, amarezza e rancore, c’è ancora posto per la speranza. Ne sono pieni gli occhi di Daniela Candino, anche lei termitana, giovane ex operaia, anche lei rimasta fuori dall’azienda nel 2011: “La morte non si augura a nessuno e oggi faremmo tutti meglio a tacere. Io, al contrario di altri, sono molto fiduciosa”. “I nuovi vertici – prosegue la donna – hanno ora la possibilità di farci ricredere. Dirigenti aziendali e classe politica dovrebbero ritornare sui propri passi. Sono convinta che la Fiat faccia parte del passato e del futuro della Sicilia e che la nuova stagione di questa azienda possa così aprire una nuova fase di sviluppo del nostro territorio”.