Il Riesame dà ragione a Mulè| Il "boss" è di nuovo libero - Live Sicilia

Il Riesame dà ragione a Mulè| Il “boss” è di nuovo libero

Massimo Mulè

I pm lo considerano il capomafia di Ballarò, ma i difensori hanno vinto il ricorso

PALERMO – Per la procura di Palermo è un capomafia, ma da oggi è di nuovo libero. Massimo Mulè è stato scarcerato dal Tribunale del Riesame che ha accolto l’istanza dei legali della difesa, gli avvocati Giovanni Castronovo e Marco Clementi, e annullato l’ordinanza di custodia cautelare. Libero anche il cognato di Mulè, Vincenzo Di Grazia.

È il secondo “successo” difensivo in pochi mesi. Mulè era stato arrestato nel blitz che azzerò il tentativo di riorganizzazione della mafia palermitana. Secondo l’accusa, che si basa sulle dichiarazioni di diversi collaboratori di giustizia, Mulè guiderebbe la famiglia mafiosa del rione Ballarò. I pentiti hanno detto che il posto di comando, una volta finiti di scontare i sei anni di carcere per una precedente condanna, gli spettava di diritto. Il Riesame, adeguandosi a quanto stabilito dalla Cassazione, disse invece che non c’erano fatti nuovi rispetto a quelli per i quali Mulè è già stato condannato. Senza attualità non si poteva emettere una nuova ordinanza di custodia cautelare in carcere. Che il sia lui il capo, però, la Procura continua a sostenerlo e lo ha ribadito in un avviso di conclusione delle indagini.

Il 17 settembre scorso il nuovo arresto nell’ambito dell’inchiesta sui buttafuori imposti dalla mafia in alcuni locali notturni della città. Mulè ha risposto all’interrogatorio respingendo le accuse. È vero, Andrea Catalano, un altro degli arrestati, assoldava Di Grazia per il servizio di sicurezza, ma il loro rapporto era precedente al matrimonio con la sorella. Lui, Mulè, giura di non essersi speso, mai, per il cognato. Non c’era alcun bisogno che intervenisse visto il rapporto che legava Di Grazia a Catalano. E in ogni caso il cognato non ha ricevuto alcun trattamento di favore.

I legali hanno fatto delle indagini difensive, ascoltando il capo dei buttafuori e la titolare di un locale. È emerso che Di Grazia faceva l’addetto alla sicurezza da tempo, prima ancora di imparentarsi con Mulè, e non è stata perpetrata alcuna minaccia per trovargli un lavoro. Circostanza che smentirebbe le parole di alcuni buttafuori intercettati i quali protestavano perché nonostante Di Grazia non meritasse il lavoro – “non è cosa sua” – doveva essere “garantito perché è parente di…”.

La gente legge i giornali e si convince che Mulè è uno che comanda: così si era difeso l’indagato. Gli avvocati Castronovo e Clementi hanno anche contestato la mancanza del requisito del “profitto ingiusto”, necessario affinché si contesti il reato di estorsione: Di Grazia è stato pagato perché ha svolto regolarmente una prestazione.

 


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