Qualcuno ha già storto il naso su facebook, scrivendo qualcosa di pepato sul ‘gallettismo’ e sui suoi derivati. Che accade? Questo, semplicemente. Natale Galletta, reuccio contemporaneo della musica neomelodica napoletana, canterà al ‘Teatro Biondo’ il prossimo 24 marzo.
E già monta l’onda di una certa polemica social. Come? Un neomelodico nel tempio delll’arte teatrante palermitana? Giuditta Perriera, splendida e sensibile attrice di casa nostra, ha scritto sul suo profilo, commentando la venuta dell”alieno’: “Il 24 marzo al Teatro Biondo. Olè! È nel programma di Palermo città della cultura? Questi sì che sono gli artisti palermitani da promuovere!”. Con tutta una serie di risposte di addetti ai lavori e non improntate allo sdegno o al sarcasmo. Ecco un’antologia: “Ma perché non al Teatro Massimo?”. “Un teatro pubblico dovrebbe fare una scelta culturale e non economica”. “Resto basita. E noi che cerchiamo di promuovere la buona cultura e il teatro…”.
Una levata di attori, intellettuali, etc etc, tanto suggestiva che verrebbe da dire: bravi, avete ragione, bis. Ma è davvero così, con il più affettuoso rispetto per la legittimità del dissenso, soprattutto se rappresentato da chi fa davvero arte e cultura a Palermo? Perché qualche dubbio, in effetti, viene.
La musica neomelodica, intanto, è un potente veicolo di comunicazione. Natale Galletta – che è una star, cercatelo su google se non ci credete – rappresenta il Claudio Baglioni delle piazze più artigianali. Chi ha assistito a un suo concerto non può non avere annoverato lacrime, singhiozzi, il pianto reiterato di omaccioni corpulenti che quando Natale gorgheggia: “Chillu guaglione ca te chiamme ammor e pe t’avev prumette ciel e mar…” si sciolgono come ghiaccioli all’equatore.
E chi l’ha stabilito che le canzoni popolari non possano trovare spazio in un teatro? Oppure, dobbiamo tutti assistere per forza alla ‘Corazzata cotionchi’.
Forse, invece, un neomelodico sul palco è davvero un’operazione di lungimirante democrazia intellettuale, il grimaldello che apre la porta di un santuario a una Palermo, apparentemente più semplice, osservata, troppo spesso, con la distanza dell’entomologo. Una città che ha gli stessi diritti espressivi dell’altra, che si ritiene migliore.
Oltretutto, lo spettacolo non è in cartellone. Si tratta di una ‘ospitata’, uno di quegli eventi promossi pure per rimpinguare le casse. Lo fa il Teatro Biondo. Lo fanno tutti, perché l’arte si paga. Eppure, il Biondo propone ben altro, un tesoro che rappresenta il cuore della sua offerta. C’è Neri Marcorè che sta incantando la platea con ‘Quello che non ho’. C’è ‘La veglia’ di Rosario Palazzolo, col bravissimo (e palermitano) Filippo Luna. E sono alcuni esempi. C’è il respiro complicato di chi tenta di sollevare un po’ di bellezza oltre i lastroni di marmo della necessità. La bellezza, sempre a caro prezzo, non vale bene un Galletta?