Qualche giorno fa, una persona ha devastato il pronto soccorso di Niscemi. L’episodio ha riproposto nei media il tema della sicurezza nei presidi sanitari, soprattutto quelli di frontiera. Senonché la cronaca dava pure conto del fatto che si trattava di un malato di mente, raccontandolo però in modo del tutto incidentale, quasi fosse un dettaglio del tutto marginale da citare solo ai fini della completezza della notizia.
E’ una circostanza che ricorre frequentemente. La cronaca di episodi che vedono come protagonisti questi sfortunati soggetti, non riesce ad offrire il minimo spunto per una riflessione, una che sia una, sui destini di migliaia di persone affette da malattia mentale, dopo la legge Basaglia.
Ho la dannata sensazione che questo sia un tema che tutti, ma proprio tutti, vedono, toccano, ma che nessun organo di informazione intende affrontare, e credo di averne compreso le ragioni.
Per i giornali di sinistra o di “area” si tratta un argomento tabù, perché la 180, c.d. Legge Basaglia, fin dagli anni 70, è un Totem della sinistra , indiscutibile ed intoccabile, forse perché è rimasto il solo al quale aggrapparsi. Quanto ai giornali di destra (o relativa area)., che hanno già i loro problemi con le etichette, è verosimile che non vogliano prendersi ulteriori grattacapi, toccando un argomento che, visto da una prospettiva che gioco-forza non sarebbe di sinistra, li esporrebbe al rischio di essere tacciati come “neo- manicomialisti”.
E’ proprio questa la nota ricorrente del tema. Grazie a Franco Basaglia si sono chiusi i manicomi, ed è stato Basaglia a restituire dignità al malato di mente. Questo è un merito che nessuno può negargli. Se solo però ti azzardi a mettere in discussione alcuni ubi consistam del suo pensiero, tipo ,”il malato altro non è che l’espressione del capitalismo”, oppure “Il problema della follia sta all’interno del problema dell’organizzazione del lavoro”, questo equivale a posizionarti tra coloro che rivogliono i manicomi lager, ed il discorso è bello e chiuso. Gioco-partita-incontro. Un vero e proprio muro di gomma.
Oppure, una narrazione declinata in modalità soft. Pensate, oggi la malattia mentale viene chiamata “disagio psichico”. Strana sfumatura lessicale, vagamente negazionista, che la dice lunga sulla propensione a sottrarre i disturbi mentali all’area medica per catapultarli sulla sfera socio-esistenziale. E’ una connotazione che interessa solo questa branca della scienza medica. Nessuno ha mai coniato il termine “disagio epatico” o “disagio respiratorio”, a proposito della cirrosi o dell’enfisema polmonare, almeno per quanto mi è dato sapere, e giusto per fare qualche esempio.
Per dirla tutta, c’è pure una sfera politica che rende la psichiatria una sorta di unicum nel panorama scientifico, visto che esistono movimenti come “psichiatria democratica” ed io non riesco a farmi una ragione del perché non debbano esistere anche “Cardiologia Democratica” o “Gastroenterologia Democratica”(ed anche qui gli esempi potete farveli da soli. Sarebbero come le ciliegie. Una tira l’altra. La realtà, invece, racconta il tutto in modo diverso.
L’altro giorno, mi è capitato di leggere su un quotidiano l’accorata lettera di un familiare. Raccontava che la madre, 82 anni, era in preda alle continue allucinazioni del figlio. Era arrivato, in preda ai suoi deliri, a legarla e cospargerla di acqua perché avrebbe dovuto, secondo lui, purificarla. Raccontava delle richieste di aiuto alle strutture psichiatriche, e che la sola risposta del Centro di Salute Mentale, era che “la famiglia deve farsi carico di questa situazione”. Che è, ve lo posso assicurare, la risposta protocollare che viene data a gran parte dei familiari che, in preda alla disperazione, si rivolgono alle varie strutture.
In linea, del resto, con la imperante filosofia del “Movimento dell’ Antipsichiatria” (nato proprio negli anni 70 e che ha permeato il pensiero di Basaglia,) che vede proprio nella famiglia il luogo “dove vengono inibite le potenzialità del bambino e dell’adolescente, dove si creano sudditi del sistema, come il malato di mente, vittima della c.d. oppressione sociale che tenta in tutti i modi di normalizzarlo, spingendolo verso il conformismo”.
Della serie, tu familiare hai creato il problema, e tu te lo devi risolvere. Non fa una piega. Torno a guardarmi le nuvole.