La prima traccia, sulla stampa, risale al dicembre 1995. All’operazione “Spartacus”, quando i carabinieri fermarono otto persone con l’accusa di avere “condizionato la vita produttiva, economica e sociale del quartiere palermitano”, come recitavano le cronache dell’epoca, attraverso l’“impedimento e condizionamento del libero esercizio del voto, il riciclaggio di capitali illeciti, il favoreggiamento di latitanti, le estorsioni e una inquietante serie di connivenze politico-amministrative finalizzate ad ottenere promesse di voti in cambio di illegittimi vantaggi patrimoniali”. Fra questi c’era anche Fabio Tranchina, all’epoca accusato per l’appunto di far parte della rete a disposizione dei fratelli Filippo e Giuseppe Graviano prima e di Leoluca Bagarella poi.
Qualche settimana dopo, nei primi giorni del 1996, Tranchina fece nuovamente capolino nelle cronache giudiziarie per un’inchiesta che avrebbe portato al principale processo su mafia e politica attualmente in corso, quello a carico di Marcello Dell’Utri: a parlare di Tranchina e del politico fu Tullio Cannella, che – chiamato a parlare dei retroscena di alcune vicende di mafia – riferì che il costruttore mafioso Cesare Lupo gli aveva chiesto di non dire nulla sull’attuale senatore del Pdl. A mettere in allarme Lupo, secondo Cannella, era stato un interrogatorio subìto dal cognato, proprio Fabio Tranchina, al quale i carabinieri avevano chiesto dettagli sul politico. In quello stesso anno, il 1996, arrivò la sentenza a suo carico: Tranchina fu condannato per mafia, accusa con la quale rimase in carcere fino al 1999.
Gli addebiti più diretti, però, sono arrivati appena due anni fa, quando il collaboratore di giustizia Gaspare Spatuzza ha parlato di lui ai pm della procura di Firenze Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi, che indagano sulle stragi del 1993: “Tranchina – ha detto Spatuzza nell’interrogatorio, riportato integralmente nel libro ‘Io accuso’ (Novantacento), e che trovate fra i correlati -, praticamente, lavorava con suo cognato, però la mansione sua era… curare la latitanza di Giuseppe Graviano, cosa che sapevamo proprio… (…) in pochi”.