Dicesi siculish quell’originale mix di dialetto isolano e lingua inglese che -per mera sopravvivenza- i siciliani crearono, sbarcati negli Stati Uniti in cerca di fortuna, sin dalla fine del XIX secolo, quando ebbe inizio la grande emigrazione. Un vero e proprio fenomeno linguistico, consistito nel rivisitare con i propri strumenti la lingua del posto ove si giungeva e si era estranei a tutto, attraverso un lavorio di contaminazione: quasi una rivolta dal basso, condotta per sottrarsi all’egemonia delle classi dominanti e culturalmente attrezzate. Per gli emigranti, difatti, anche l’italiano era un idioma “straniero”; per osmosi fu la loro vera lingua madre, quella parlata comunemente, a confluire in quella del paese ospitante e a trasformarla.
Oggigiorno è l’italiano che viene mutato di continuo, pur senza invasione fisica, dalla forza evolutiva e trainante delle comunicazioni e della globalizzazione. La recentissima edizione 2014-2015 del dizionario di culto di quanti (ancora) amino l’ortografia, include cinquecento neologismi. Tra questi, molti anglicismi: ben 154 dal 2000 in avanti. Giacomo Devoto e Gian Carlo Oli sono stati due numi tutelari della bella scrittura, l’imprescindibile guida legata alle necessità interpretative di una lingua ricca e complessa, la cui padronanza si esprime nel sapiente uso di sinonimi tra loro non intercambiabili. “Si può buttare, non gettare la pasta” ha recentemente ricordato il linguista Maurizio Trifone, per il quale “solo colui che non ha dubbi, non legge dizionari” e aggiunge “tipicamente i politici”, citando il ben noto esordio parlamentare del deputato di M5s il quale aprì il suo discorso con un “sarò breve e circonciso”.
Poiché la lingua è in continua evoluzione, il dizionario, che sistematizza i cambiamenti, impone una presa d’atto, spesso drammatica, circa lo stato dell’arte della lingua italiana. Tra le parole nuove troviamo, purtroppo, femminicidio, e, nel nutrito gruppo di anglicismi, lemmi legati alla crisi e al gergo economico, come cash e spread, seguiti da spending review (la spesa pubblica di uno Stato) e fiscal compact, ovvero il patto fiscale europeo. Dal mondo della rete, o -per meglio dire- del web, arriva il termine geotag, ovvero l’attività di aggiungere informazioni geografiche a elementi multimediali, quali foto e video, e il vocabolo phablet, che definisce il nuovo dispositivo che associa le caratteristiche di uno smartphone a quelle di un tablet di formato ridotto. Ogni arricchimento è in realtà un depauperamento della nostra lingua. Siamo di fronte a una decrescente capacità linguistica degli italiani di essere al passo con le novità, e alla progressiva estinzione di certi termini italiani a vantaggio dei rispettivi anglicismi.
Qualche curiosità. L’espressione colloquiale per definire una donna molto bella, “bonazza”, è ufficialmente un nuovo vocabolo: e nel tema in classe, sarà lecito scrivere acchitarsi (farsi belli), svapare (fumare la sigaretta elettronica) o svalvolato (persona fuori dagli schemi). E che dire poi di impiattare? Ce lo hanno ripetuto fino alla nausea a Masterchef… et voilà, adesso è italiano! E, allo stesso modo, se anche facesse rivoltare Manzoni nella fossa, è possibile “stare sul pezzo” (l’espressione, nata nell’ambito del gergo produttivo industriale, ove indica lo stare al “pezzo” della catena produttiva, oggi significa essere costantemente informati nel mondo giornalistico, soprattutto in quello televisivo). Chi coltiva frutta e verdura in città, sulla scia di Michelle Obama, anche se non ha a disposizione i giardini della Casa Bianca, crea un “orto urbano”; ma attenti ai falsi amici… non dà corso ad una “rinaturazione”, parola nuova che sottende un processo scientifico in base al quale una proteina torna al proprio stato nativo.
Può tornare utile un glossarietto di espressioni legate al mondo del futuro, come smart city (città intelligente), ovvero un modello urbano in cui, grazie alle tecnologie digitali e alle infrastrutture moderne, la qualità della vita dei cittadini migliora, e smart grid, la rete intelligente che gestisce in modo più efficiente la distribuzione di elettricità e consente al cittadino di sfruttare solo l’energia di cui ha bisogno. Abbiamo poi una serie di paroline che iniziano per e: il suffisso e-, che precede un ampio numero di neologismi di matrice anglosassone, sta per “electric”. Le parole e-moving, e-mobility, si riferiscono alla mobilità e ai trasporti; e-government significa governo elettronico, con riferimento alla digitalizzazione della pubblica amministrazione al fine di migliorare l’erogazione di servizi. Una e- molto importante, dunque, per i cittadini, perché consente di sbrigare online le pratiche burocratiche. L’e-payment (pagamento elettronico) offre la possibilità di trasferire denaro in digitale, senza ricorrere alle banconote, tramite conti correnti da gestire comodamente sul web. Si è diffuso in modo capillare soprattutto grazie all’ e-commerce (commercio elettronico), l’acquisto di prodotti e servizi su internet, e con la diffusione delle carte di credito prepagate, in quanto la nuova frontiera è il pagamento attraverso gli smartphones: non facciamo al lettore il torto di spiegare cosa siano!
Continuando un percorso di condivisione dei saperi, diamo una scorsa alla recente storia linguistica anglo-isolana. Il siculish, nato fuori confine, come si è detto tendeva alla sicilianizzazione delle parole in primo luogo per rendere familiari i toponimi geografici americani abitati da comunità siciliane: così Bensonhurst divenne Bensinosti, New York Nova Jorca e Brooklyn la mitica Brucculinu. Venne quindi usato per definire le attività lavorative (il Padrino docet), a partire da bisinissi, derivato da business, affare; u bossu era il boss, il capo, u giobbu il lavoro (job); quindi per i mezzi di trasporto: u truccu era il camion (truck), u carru (car) l’automobile, fino all’evocativo, per la somiglianza con i mezzi di collegamento via mare in uso in Sicilia, ferri-bottu da ferry-boat (traghetto). Per ricorrere ad un esempio blasonato, anche Leonardo Sciascia, nel racconto La zia d’America, utilizza alcune sicilianizzazioni di termini inglesi, come la parola storo (da store), per indicare il negozio.
Oggi il siculish grazie alla massiva introduzione dell’inglese nel nostro Paese ha avuto un rilancio, o meglio, un revival, ma stavolta completamente autoctono e con fini ludici. E così nelle varie città della Sicilia nascono gruppi di studio, e veri brain-storm sono dediti alla traduzione delle espressioni dialettali più diffuse e tipiche. Ripassiamo un po’ di slang anglo-palermitano, declinato in qualche frase di uso corrente. Lamb and sauce and the baptism is end (agneddu e sucu e finiu u vattiu); i should do like an horned man (facissi com’un curnutu); look at him how he’s cute (talialu che bieddu); beautiful Saint Mother (bedda Matri Santissima); mud compared to you is distilled water (u fangu n’confont’attia acqua distillata è); let’s go… it’s nothing… let’s have a coffee (amunì… un c’è nienti… pigghiamunni u cafè); take yourself again (arripigghiati). Un po’ di geografia della zona. Happyfield of Littlerock: Campofelice di Roccella; Goodcastle: Castelbuono; Pumpkins Plane: Piano Zucchi; Beautiful flash: Bellolampo; Maybe: Capaci; Little nice: Carini e, la migliore, Little world (Mondello)!
Per par condicio, alcune espressioni del catanese. Don’t expand yourself: non t’allaggari; move stopped: moviti femmu; speak dumb: parra mutu; be beaf: stai manzu; we are lost: semu pessi; for leattle please: piffaureddu; 100% elephant brand: cientu ppi cientu macca liotru; I made a valley: fici a valli; hey man! leave the hand: au ‘mbare! levici manu; I give you a reversed fourty-five: ti rugnu ‘nquarantacincu a rivessa. Qualche frasetta d’amore: hey nice, consume this lipstick: bedda, u spaddamu stu russettu?; you are better than horse meat: si megghiu da cann’i cavaddu; I shoud do a party for you (ti facissi a festa). Anche per Catania, dove, per un appuntamento, see you under the elephant (ni viremu sutta u liotru), ecco un pò di toponomastica.
Little around beach: Tunniceddu ra’ Playa; St. Julian’s way up: acchianata ri San Giulianu; Can I lick you: Canalicchio; Little book: Librino; Mr. White: Misterbianco; Pissing step: Passupisciaru; Big Mike: Grammichele; Three marrons: Trecastagni; Dead St. Anastasia: Motta sant’Anastasia; Leeblack: Linera; Father not: Paternò (eccellente!). Ancora, abbiamo Etnean Sapphron, Beautiful step e Foot’s mount sull’Etna, seguite dalla serie marina Aci Castle, Aci Chain, Aci St. Philip, Aci St. Anthony, Aci Goodcoming, Royal Aci. Fuori zona, una delle traduzioni più riuscite è “little bitch” per Troina.
Uno stimato gruppo di anglo-siculi alligna anche a Messina, regno dei tre immancabili elementi “sirocco badnews and stockfish” ( sciroccu, malanova e piscistoccu). Il disagio cittadino viene efficacemente espresso in frasi idiomatiche quali we are in the middle of the street; we are wall to wall with the hospital, we are consumed, we saw the badly taken card. E vista “a catta malappigghiata” non può mancare la tipica esclamazione messinese, “menzamaddiu”: “half but God”! L’augurio “that God taxi driver!” (che Dio t’assista), però, le supera tutte. All’orecchio “italiano” il siculish potrà suonare caricaturale e un filino volgare, ma rivendica, in modo orgoglioso, un’appartenenza, ed esprime la voglia di ironizzare (per provare a impadronircene) persino su cambiamenti epocali che non abbiamo scelto. Ancora una volta lo spirito di adattamento e l’umorismo saranno il sale di questa terra di Sicilia.
Non sono neologismi… ma svarioni, alcune perle recentemente raccolte: dal “latrito” di un cagnolino, termine ripetuto, con convinzione, da una giunonica bruna, conduttrice televisiva, all’accorato richiamo di un signore alla moglie: non è così, tu travasi sempre tutto; a “lo trovi lì, in quel campanello di gente”, fino a “è partito lancia in testa”. Sono tutte autentiche. I swear you, for the evaluation of Ognina’s landscape (vvu giuru quanto stimu a vista ill’Ognina).