03 Giugno 2016, 06:02
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PALERMO – “Non sono emersi elementi che dimostrano l’esposizione ad un rischio particolare ed attuale per la propria incolumità. Non si giustifica il bisogno di andare armato”. Poche parole, scarne, semplici, chiare: niente porto d’armi, per la Prefettura di Palermo non c’è alcun pericolo. Eppure quella persona che ne ha fatto richiesta è la stessa che, nel 2002, è finita nel mirino di una banda di rapinatori che ha sparato a sua madre e al figlio che all’epoca aveva 7 anni.
Nel conflitto a fuoco all’interno della gioielleria “La Torre” di corso Calatafimi rimase ferito anche lui: furono necessari 37 punti di sutura alla testa. Quell’incubo è finito, ma soltanto sulla carta. In realtà è una ferita aperta, difficile da curare in seguito alle minacce ricevute, al terrore che non abbandona il cuore e la mente e alla sensazione di sentirsi soli. Gli anni passano, ma la paura no. “Già, ci sentiamo abbandonati. Conviviamo con l’ansia e l’angoscia. I flash di quei momenti infernali ci perseguitano e siamo consapevoli di non essere al sicuro”.
Maurizio Sicilia e la madre Anita sono i titolari dello storico negozio, anche recentemente preso di mira dai malviventi. Gli ultimi attacchi sono stati, nelle modalità, ben lontani dall’assalto che sconvolse le loro vite, ma rappresentano comunque un segnale preoccupante. “Per non parlare delle minacce – spiega Sicilia – visto che uno dei rapinatori fu intercettato in carcere mentre diceva alla moglie che, una volta a piede a libero, sarebbe tornato qui per ammazzare me e mia madre. Il trascorrere del tempo non è un deterrente all’accoglimento della mia istanza. La licenza da allora mi è sempre stata rilasciata, quest’anno hanno invece deciso di mettermi in pericolo”.
La detenzione sì, il porto d’armi no. “È paradossale – dice Sicilia – perché dovrei avere la possibilità di difendermi quando mi muovo, all’interno e all’esterno del negozio, visti i precedenti. Due anni fa – prosegue – se fossimo arrivati prima in negozio, avremmo trovato i ladri in azione: hanno praticato un grosso foro sulla parete del retro per accedere. Dopo pochi mesi un’altra coppia ci ha derubato. Ci sentiamo fortemente a rischio e, viste le risposte alle mie richieste e il silenzio alle istanze presentate tramite il nostro avvocato, deduciamo che il porto d’armi, quest’anno, non sarà concesso nemmeno a mia madre”.
Anita La Torre, 72enne dagli occhi azzurri, mostra i segni lasciati da quei due colpi di pistola. Cicatrici non solo sulla pelle, ma nell’anima. “Ho rischiato di morire. Se non mi avessero soccorsa in tempo il proiettile sarebbe finito vicino al cuore – racconta, ancora scossa -. Si tratta di esperienze che lasciano traumi profondi. Da quel giorno terribile sono diventata sospettosa, mi tremano le gambe quando vedo entrare qualcuno che indossa degli occhiali da sole e un cappello: credo sempre possa nascondere qualcosa. Ho continuato a lavorare, a portare avanti l’attività di famiglia. Ma nessuno mai mi restituirà la serenità di una volta. Ormai ho più paura per mio figlio e per mio nipote, che per me”.
Jordi, coinvolto nel conflitto a fuoco quel giorno, oggi ha 22 anni. Non è stato semplice allontanare dalla mente il ricordo di quella tempesta di fuoco. Aveva 7 anni quando fu colpito di striscio da uno degli spari. “Sono stato per un po’ di tempo in analisi – racconta – ma ancora adesso ho paura dei luoghi affollati, sono molto ansioso. Ho il ricordo abbastanza nitido di quello che accadde, per questo vorrei che mio padre fosse in grado di difendersi se dovesse ripetersi qualcosa di simile. Dobbiamo essere tutelati, non possono lasciarci in balia di noi stessi”.
Un appello disperato quello dei titolari della gioielleria, che viene lanciato mentre Italia dei Valori deposita le sottoscrizioni al Senato per il testo di iniziativa popolare, in base al quale i cittadini devono avere la possibilità di reagire. Un’adesione massiccia in tutto il Paese, con un milione di firme già raccolte per cambiare la legge sulla legittima difesa e dare vita ad un’altra che non preveda il carcere per chi spara per difendersi. La proposta di Idv prevede di punire più severamente la violazioni del domicilio, ma il nodo cruciale sta nel superamento del reato di eccesso colposo di legittima difesa, quello che il più delle volte fa finire sotto inchiesta chi ha sparato per tutelare la propria incolumità.
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03 Giugno 2016, 06:02