Confermata, dalla Cassazione, la condanna a 13 anni di reclusione, senza la concessione di ‘sconti’ di pena per la collaborazione, al ‘pentito’ Giovanni Brusca, il boss di San Giuseppe Jato tra gli autori delle stragi di Falcone e Borsellino. Questa ennesima condanna di Brusca si riferisce alla detenzione del più “ingente quantitativo di armi sequestrato in Italia” in un tunnel di cemento armato nella proprietà di Brusca.
Senza successo, in Cassazione, Brusca ha chiesto, ai supremi giudici della Seconda sezione Penale, di avere una riduzione dell’entità della pena in virtù della sua qualifica di collaboratore di giustizia. La suprema Corte non ha accolto la richiesta spiegando che lo status di ‘pentito’ “non impone, in ogni processo, l’attribuzione dell’attenuante, concedibile solo nell’ipotesi che l’imputato abbia aiutato concretamente gli organi inquirenti nella raccolta degli elementi decisivi per la ricostruzione dei fatti e per la cattura degli autori dei delitti”. Nel caso del ritrovamento dell’arsenale di Cosa Nostra, Brusca – scrive la Cassazione nella sentenza 12738 – ha reso solo “indicazioni generiche”, non utili a risalire alla provenienza delle armi, alle persone che costruirono il bunker e a quelle che avevano accesso alle armi.