Alcuni mesi fa, il giorno della sentenza d’appello che ha ridotto da 9 a 7 anni la condanna del senatore Marcello Dell’Utri per associazione mafiosa, sulla parete dell’aula bunker del carcere Pagliarelli, proprio alle spalle della cattedra da cui la corte stava leggendo la sentenza, c’era un calendario. Non un calendario di carta, ma uno di quelli meccanici, con i numeri bianchi impressi su grosse tessere nere che quando girano fanno uno scatto repentino e sordo. Questo calendario era lì. Ed era rotto. Non segnava la data di quel giorno, era il 29 giugno, bensì ne riportava un’altra. Era fermo. Cosa può esserci di più inutile di un vecchio calendario meccanico guasto? Nulla. Anzi no. Perchè probabilmente quel calendario non era fermo casualmente. Sarebbe più affascinante immaginare, piuttosto, che quell’oggetto meccanico abbia “deciso” volontariamente di rompersi, arrestando la sua ciclica corsa proprio in quel giorno particolare. Una data che, soprattutto in un’aula di tribunale, acquista un valore unico per chiunque abbia un pizzico di memoria e spirito d’osservazione in più.
In alto su quel calendario c’era il numero 16, e immediatamente sotto c’era il mese: dicembre. 16 dicembre. Una data storica che forse andrebbe celebrata alla stregua di qualsiasi altro 23 maggio o 19 luglio, e che invece trascorre ogni anno sotto silenzio. Quel 16 dicembre inchiodato alla parete è una vita intera. E’ lì che inizia ed è lì che finisce tutto, per ricominciare un’altra volta. Un calendario perpetuo in un giorno solo. Per arrivare al 16 dicembre 1987 ci vollero anni. Anni difficili di sangue e catrame. Anni di domande alle quali, stranamente, all’epoca si rispondeva un po’ di più rispetto ad oggi (ma non molto). Anni in cui le parole dei pentiti avevano il peso del piombo con cui la mafia avrebbe dato poi la sua risposta. Anni. Con tutto ciò che questa parola, anni, comporta. Anni di giorni di sole e pomeriggi bagnati di pioggia chiusi in un ufficio a studiare carte. Anni di sorrisi. Di sguardi fissi nel nulla, magari a cercare in quel vuoto il senso della propria esistenza. E la risposta è sempre quella: 16 dicembre. E’ una delle ragioni per cui sono morti Falcone e Borsellino. E prima di loro decine di altri uomini e donne che hanno creduto inconsciamente potesse esistere quella data. Un monito ed un incoraggiamento.
Monito perchè ricorda che le leggi in questo Paese esistono e, quando si vuole, possono anche essere applicate; incoraggiamento perchè le leggi in questo paese esistono e, quando si vuole, possono anche essere applicate. La stessa cosa insomma. Cambia solo la prospettiva di chi legge, che non sempre sta dallo stesso lato. Il 16 dicembre 1987 è un faro che oggi a distanza di oltre vent’anni ci ricorda da che parte stare. Che vita scegliere. Gli uomini da celebrare e prendere ad esempio, e quelli da condannare senza possibilità d’appello. Perchè i veri eroi, a differenza di ciò che qualcuno può pensare, sono quelli che riescono a dar valore inestimabile ad ogni cosa. Anche ad un vecchio calendario rotto.
Ps – Il 16 dicembre 1987, dopo 35 giorni di camera di consiglio, la Corte d’Assise di Palermo emise la sentenza del Maxiprocesso a Cosa nostra, che per la prima volta nella storia portava alla sbarra e condannava i vertici della Cupola mafiosa. Dei 475 imputati, 360 vennero condannati ad un totale di 2665 anni di carcere.