ACIREALE – E’ un muro contro muro quello tra ambientalisti e amministrazione comunale acese in relazione alla barriera soffolta che dovrebbe, contrastare l’erosione della Timpa di Acireale. Dopo l’esposto alla Procura della Repubblica, per presunte irregolarità nel procedimento di autorizzazione dell’opera, Legambiente torna infatti a denunciare un progetto che, se realizzato, stravolgerebbe definitivamente uno dei luoghi più affascinanti e unici del Mediterraneo, dal punto di vista ambientale, come i fondali di Grotta delle Colombe, in prossimità del borgo marinaro di Santa Maria La Scala.
Un grido di allarme, condiviso anche dai pescatori del borgo marinaro si Santa Maria La Scala, approdato anche in parlamento, con un’interrogazione al Ministro dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, ma che sembra non aver raggiunto gli amministratori di Acireale che, più di una volta, hanno spiegato come il progetto per la realizzazione del Mose della Timpa fosse stato approvato dalla precedente amministrazione e come, non realizzarlo, comporterebbe la restituzione dell’intero importo del finanziamento, parte del quale già speso per realizzare interventi a monte.
Oggi, l’associazione ambientalista, ha presentato un nuovo esposto, stavolta alla Corte dei Conti, per denunciare presunto spreco di denaro pubblico. “Non solo, infatti, l’opera è tecnicamente inappropriata, inutile e inefficace a rimuovere il processo di erosione per la quale è stata ideata dai funzionari del Comune di Acireale – afferma Roberto De Pietro, rappresentante di Legambiente Catania – ma risulta assurda la stessa idea di voler rimuovere, con l’impiego di soldi pubblici, il naturale processo di erosione di una costa rocciosa basaltica”.
Uno “speco economico” definito “inaccettabile” per via delle conseguenze che, un intervento di simile portata avrebbe sull’intero ecosistema. “E a proposito di tali danni – prosegue De Pietro – Legambiente ha voluto ribadire quelli incalcolabili ai basalti colonnari sommersi. Di queste formazioni geologiche è stata evidenziata, in particolare, l’estrema rarità in tutto il bacino del Mediterraneo, soprattutto in ambiente marino. E in relazione ai vicini basalti colonnari dei faraglioni di Aci Trezza, è stato osservato che quelli di Grotta delle Colombe sono affioramenti di lave a colonne sub-verticali costituenti prodotti eruttati da apparati fissurali, periferici rispetto all’area in cui si formò l’apparato centrale etneo. Si tratta quindi di basalti colonnari dalla genesi diversa da quelli di Aci Trezza, costituiti invece da corpi magmatici raffreddatisi all’interno della crosta terrestre. E considerando tale aspetto – conclude – la barriera soffolta seppellirebbe formazioni geologiche che possono essere considerate uniche e di eccezionale bellezza e spettacolarità”.
Un presunto spreco di denaro pubblico che potrebbe, oltre tutto, risultare inutile. Soprattutto perché, a causare dissesto idrogeologico nella Timpa non è tanto l’azione del mare, quanto piuttosto la presenza di acqua a monte. Dove si trovano strutture private che nella relazione sono definite “a rischio”, per garantire le quali si sarebbe optato per la costruzione della barriera. “I costoni rocciosi in oggetto – si legge nella relazione tecnica del progetto – sono interessati da fenomeni erosivi causati dall’azione delle acque piovane e del mare”. E ancora: “Si rende necessario intervenire a difesa della costa con delle opere capaci di proteggere la scogliera dall’azione erosiva dell’onda frangente”. Nella relazione sono indicate, poi, due tipologie di interventi possibili: una attraverso “opere di difesa aderenti costituite da rivestimenti in pietrame” e la barriera. Dal momento che “la prima tipologia è incompatibile con la necessità di garantire l’accessibilità al mare ai fruitori” della struttura privata. “Ai piedi della scogliera è ubicato un accesso artificiale al mare che, nel caso di ricorso ad opere di difesa aderenti sarebbe stato necessario rimuovere, con conseguente grave danno alla qualità del servizio offerto dalla struttura turistica”. E infine: “Eventi di potenziale rischio di caduta massi possono comunque verificarsi nelle aree di costone adiacenti, in quanto limitrofe e non oggetto di intervento […] Per i tratti di costone ubicati lateralmente ma fuori dalle aree di cantiere, poiché potenzialmente instabili, non è possibile escludere del tutto il rischio di caduta massi”.
Insomma, il timore degli ambientalisti è che il progetto tenda a mettere in sicurezza solo una porzione di costa – senza garantire l’efficacia, tra l’altro – corrispondente a una struttura privata. “Sembra, da quanto si legge nella relazione, che si vogliano usare fondi pubblici per ridurre i danni ad una struttura privata – conclude De Pietro – e questo appare, a giudizio di questa Associazione, improponibile; se a ciò si associano i danni ambientali evidenziati tale proposito risulta inaccettabile”.