Palermo, il ristoratore: "Così mi sono liberato del pizzo"

Tanti ristoratori pagavano, una sola denuncia: “Mi sono liberato dal pizzo”

Lavora nella borgata di Sferracavallo, regno del boss Michele Micalizzi

PALERMO – “Erano asfissianti, non avevo altra scelta”, racconta il ristoratore. La scelta è stata quella di confidarsi con i carabinieri e chiedere sostegno ad Addiopizzo nel percorso che aveva deciso di intraprendere.

Prima ha denunciato gli uomini del racket e poi si è costituito parte civile, unico fra tanti commercianti che hanno scelto il silenzio. Titolari di ristoranti come lui nella borgata marinara di Sferravallo.

I boss di Tommaso Natale garantivano protezione. Niente concorrenza sleale, niente teste calde che facevano baldoria spaventando la clientela, niente furti nel regno di Michele Micalizzi, il boss di nuovo arrestato dopo avere scontato una lunga condanna. E se qualcuno osava rubare dentro un locale protetto dalla mafia il bottino veniva recuperato.

Rosario Gennaro e Matteo Pandolfo, così ha ricostruito la Procura di Palermo, sarebbero stati incaricati da Amedeo Romeo di riscuotere il pizzo.

“Volevano cento euro al mese”, racconta il ristoratore. “Ho pagato prima a uno e poi ad un altro. Sono stati nove lunghi mesi, erano minacciosi. Poi ho detto basta. Pensavo di non avere via di uscita, ma la paura si può vincere“, aggiunge.

Dopo la confidenza fatta alle forze dell’ordine sono arrivare le intercettazioni. La richiesta di pizzo è stata registrata in presa diretta. Al blitz è seguito il processo. Il commerciante non ha fatto un passo indietro e si è costituito parte civile all’udienza preliminare con l’assistenza dei legali di Addiopizzo.

Sotto accusa ci sono, oltre all’anziano boss Michele MIcalizzi, il figlio Giuseppe, Gianluca Spanu, Domenico Caviglia, Amedeo Romeo, Rosario Gennaro, Matteo Pandolfo, Gaetana Mulieddo, Vincenzo Garofalo, Carmelo Cusimano, Giuseppe Guida, Francesco Nappa, Ivan Meli e Gioacchino Randazzo.

“È stato grazie a un percorso di ascolto e sostegno portato avanti assieme alla vittima, che si è consolidata la scelta di opporsi e non piegarsi alle richieste di estorsione. Si è oramai consolidato un sistema di tutela e supporto in grado di assicurare le condizioni migliori nei confronti di chi denuncia”, spiegano dal comitato antiracket.

Il ristoratore non ha pagato. Un uomo di origine straniera ma palermitano di adozione ha dato l’esempio. Circostanza da sottolineare alla vigilia di una ricorrenza che ha fatto da spartiacque. Il 10 gennaio 1991 Libero Grassi denunciava i suoi aguzzini con la lettera al “Caro estorsore”. Domani mattina, venersì 10 gennaio, nella sede di Addiopizzo sarà presentata la App del consumo critico antiracket “Pago chi non paga”,

“A 34 anni da quella vicenda anche se c’è chi continua a pagare le estorsioni – spiegano dal Comitato – la scelta di denunciare oggi non solo è possibile ma non ha nemmeno bisogno del clamore mediatico a cui fu costretto Libero Grassi.


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