"Ogni saracinesca che chiude è un pezzo d’Italia che muore" - Live Sicilia

“Ogni saracinesca che chiude è un pezzo d’Italia che muore”

La protesta di Confcommercio.

L’Italia a colori e la Sicilia sbiadita da altrettanti colori hanno stufato un po’ e il malcontento si insinua e tormenta chi vuole ripartire con tutte le sue energie, senza il cappio al collo del limite di orario alle 22 per la chiusura dei locali, tra l’altro consentita solo se si è in zona gialla.

E la protesta di oggi, che si è svolta davanti al Municipio di Messina, nella piazza antistante, con i tavolini apparecchiati e distanziati, esprime le rimostranze delle categorie occupazionali più penalizzate dalla restrizione di non poter far accedere e consumare i cittadini nelle loro attività quindi ristoranti e cocktail e lounge bar, destinati per vocazione ad accogliere clientela a pranzo e a cena. Anzi, alcune di queste tipologie aprono esclusivamente di sera. Palazzo Zanca ha voluto testimoniare stamani il suo apporto con l’assessore con delega al Commercio che chiarisce come il Comune abbia programmato la PMI Card con un intervento di 15 milioni di euro, di cui 10 milioni erogati in forma diretta ed altri 5 milioni per il piano promozionale. La Regione ha avuto come esponente la deputata Ars Bernardette Grasso.   

La Fipe Confcommercio Messina ha indirizzato al Prefetto di Messina Cosima di Stani un documento firmato dalle rappresentanze dei ristoratori di Messina Nord, Messina Centro e Messina Sud e dal Presidente Fipe-Confcommercio Messina Carmelo Picciotto. La lista delle idee, criticità e proposte per esercitare tutti e bene è sostanziosa: la prima è la creazione di zone gialle speciali, in base ai dati forniti a livello locale. Poi, campagna di vaccinazione per tutto il comparto della ristorazione e conseguente riapertura in sicurezza con un corridoio preferenziale per l’utenza che ha già effettuato la somministrazione dei vaccini. Approvazione di un protocollo per l’uso di spazi esterni ai locali, così da poter permettere alla clientela di sedere all’aperto con le dovute disposizioni di sicurezza e usufruire dei servizi di ristorazione. Necessità di maggiori ristori, al momento insufficienti. Linee guide chiare per le riaperture e adeguata comunicazione nelle tempistiche di aperture e chiusure. Attivazione di un osservatorio economico locale e di una rete di prevenzione per il contrasto di eventuali eventi illeciti nel settore dei finanziamenti e delle acquisizioni aziendali. 

La volontà è quella di tracciare le linee di un percorso condiviso fra associazioni e istituzioni che possa dare slancio per estinguere questo periodo di incertezza. Una incertezza che ormai sfora nello sconforto di centinaia di commercianti al collasso che si ritrovano a chiedere aiuto a chi ricopre posizioni altisonanti nei Palazzi che contano. L’assemblea di oggi si abbarbica su un denominatore comune: innescare il motore dell’economia di questa città, che si impianta per lo più sul settore dell’accoglienza, della ristorazione di qualità e dell’organizzazione e promozione di eventi. Le eccellenze della ristorazione esistono nella Porta della Sicilia e non si arrendono e sono collegate al settore wedding e a tutte le branche   della filiera. Finora, hanno dimostrato fierezza, onore e senso di responsabilità e tanta, tenacia. Ma la misura è colma. Troppe le vittime rimaste sul campo, mietute dal virus e mietute dalla miseria: il 30 per cento delle aziende presenti sul territorio provinciale.

“Siamo il popolo che accoglie, siamo quelli del brand Messina – tuona Picciotto -. Noi siamo ‘la differenza’ con cui determiniamo una identità anche oggi, qui su questa piazza. Qui oggi, abbiamo portato ciò che sappiamo fare bene. Professionali, seri, cortesi ma convinti, al tempo stesso, per chiedere interventi urgenti e una pianificazione coscienziosa ed efficace. Gli errori sono stati tanti e sono ricaduti tutti sulle nostre spalle. Errore è stato chiuderci indiscriminatamente, quasi come se la colpa della diffusione del virus fosse tutta in capo a bar e ristoranti, salvo poi riconoscere che solo lo 0,18 per cento è attribuibile ai pubblici esercizi”. “Errore è stato illuderci con promesse di contributi a pioggia salvo, poi, erogare solo le briciole e farlo pure male. Far credere che i protocolli dettati sarebbero stati la soluzione di tutti i mali è stato un errore, stimolando investimenti spesso inutili che sono rimasti cattedrale nel deserto. Siamo in ogni angolo delle strade. Siamo il motivo per cui uomini e donne vanno ad acquistare abiti e accessori. Siamo il motivo per cui nell’attesa di andare a cena si fanno compere. Siamo quelli che muovono capitali ed emozioni. Vendiamo sogni. Vendiamo socialità”, continua. “Vendiamo il piacere di stare assieme davanti ad un caffè. Se chiudiamo noi chiude l’Italia. Dalle filiere agroalimentari, ai servizi, ai lavoratori dell’intrattenimento, ai fotografi, ai fiorai, ai negozi di alta moda. Per questo, non possiamo abbassare la guardia. Resistere oggi significa garantirsi un futuro domani. Ogni saracinesca che chiude è un pezzo d’Italia che muore. Un metro quadro di deserto in più”, spiega. 

Nei pubblici esercizi per 10 milioni di fatturato ci vogliono 120 persone che lavorano. Con i colossi e le piattaforme online, ce ne vogliono solo 14,5. Cuochi, pizzaioli, bagnini, baristi, dj rappresentano la tradizione. Rappresentano l’anima, il cuore pulsante di questo settore che è emozionalità. E’ poesia dell’acquisto. Oggi, si ha il dovere di tutelare questo cuore pulsante. Come si sente spesso dire: nessuno vuole ammalarsi di Covid -19 ma non si vuole neppure morire di fame.

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