PALERMO – Poche ore dopo il ritrovamento del cadavere nelle campagne di Santa Flavia, quando il corpo del marito era all’obitorio del Policlinico, Rosa Anaclio si avvicinò a Pietro Mazzara. “Ve lo siete venduti a mio marito”, urlava la donna. E dopo averlo schiaffeggiato gli chiedeva “perché non lo dici che sei stato tu l’ultimo a vedere mio marito”. I primi a sospettare un possibile tradimento dietro la morte di Antonino Zito sono stati i parenti della vittima.
Pietro Mazzara è stato arrestato assieme a Carmelo Ferrara e Maurizio Pirrotta. Sono accusati di omicidio e distruzione di cadavere. Antonino Zito, fruttivendolo di 32 anni, fu freddato il 18 dicembre dell’anno scorso con un colpo di pistola alla testa, sparato mentre era seduto o inginocchiato. Il corpo venne ritrovato distrutto dalle fiamme in contrada Spedalotto Valdina.
Sono state le intercettazioni a svelare il quadro indiziario che ha portato i carabinieri del Nucleo radiomobile e della compagnia di Bagheria, guidata da Francesco Tocci, sulle tracce dei tre indagati. Le conversazioni sono inserite nella misura cautelare firmata dal Gip di Termini Imerese su richiesta del procuratore aggiunto Alfredo Morvillo e dei sostituti Bruno Brucoli e Francesco Gualtieri. Il fascicolo, però, è stato trasmesso alla Procura di Palermo perchè è nel capoluogo siciliano che il reato è stato commesso. Per la precisione, in una baracca di legno all’incrocio fra le vie del Levriere e del Bassotto, nel quartiere Bonagia. I pm termitani seguivano Pirrotta e Ferrara per una faccenda di droga e si sono imbattuti nei presunti autori di un omicidio.
Le indagini sono partire dal chiosco di bibite gestito da Carmelo Ferrara. O meglio, da ciò che restava della struttura in legno misteriosamente data alle fiamme poche ore dopo il delitto. È il posto dove la sorella di Zito, Angela, ha visto per l’ultima volta il fratello, poche ore prima della scomparsa. Era alticcio e si era rifiutato di accompagnarlo da un avvocato. È uno dei pochissimi racconti utili che gli investigatori hanno raccolto in questi mesi. Le indagini si sono confrontate con quella che il Gip definisce “la cruda realtà della periferia urbana di Palermo” dove regna “l’omertà” e il “crimine” si diffonde. Tanti, troppi i silenzi che hanno reso difficile il lavoro dei carabinieri.
Il primo tassello, dunque, è stata la rabbia della moglie della vittima. Poi, il 26 gennaio, si è aggiunta la strana visita di Maurizio Pirrotta sul luogo del delitto. “Ti faccio vedere dove hanno trovato il mio amico”, diceva ad una ragazza. Eppure qualche giorno prima ai militari aveva detto di avere appreso i particolari di quel luogo dalla lettura dei giornali.
Il 1 marzo 2013 è lo stesso Pirrotta a discutere delle condizioni di salute di un amico. Era dimagrito e spaventato: “Fa capire alle persone che è stato vero la”. E Mazzara rispondeva: “… non è che questo ha parlato?… gli pareva che io lo dicevo e non facevo niente… gli ho detto ou vedi che stai facendo capire qualche cosa… non è che questo ha parlato e si spaventa… e si spara lui…mmm che sarebbe bello”. Secondo gli investigatori, stavano parlando di uno dei due testimoni che avrebbero assistito all’esecuzione dentro il chiosco.
Una circostanza che troverebbe conferma nelle parole dei parenti dei due testimoni. Le microspie hanno captato le paure di una madre per il proprio figlio (“Mi pare piatuso, dice ma chi mi ci ha portato a mangiare e bere il panino lì”) e quelle di una ragazza (“ma poi sono stati pure cretini che la sono andati a fare là dentro… che direttamente lo dovevate ammazzare? Ammazzatelo fuori”. I due testimoni sarebbero stati avvicinati e minacciati per farli tacere. Così Pirrotta diceva a Mazzara, il 24 aprile scorso: “Gli ho fatto capire se io a lui… se io vedo una cosa…. non lo posso andare a dire… quello che è successo… Può succedere pure a me… ora se tu hai parlato e si viene a sapere, succede pure a te”.
Nei mesi successivi al delitto il clima a Bonagia si era fatto pesante. Girava voce che “Carmelo se l’è cantata”. Non era vero, ma tanto bastava per alimentare tensioni e fare dire a Pirrotta che “era una cosa che dovevamo fare tutti e due soli e basta. Eravamo sicuri”. Cosa dovevano fare da soli? L’omicidio, dicono oggi gli inquirenti. Tesi smentita dagli indagati – assitititi dagli avvocati Marco Clementi, Domenico Trinceri e Monica Lo Iacono – che ieri si sono avvalsi della facoltà di non rispondere visto che avevano già risposto nella fase delle indagini preliminari. Fase in cui hanno negato ogni loro responsabilità. I legali parlano di “indizi labili” e in alcuni casi di “illogicità” nella ricistruzione dell’accusa.
La partecipazione di Ferrara al delitto emergerebbe, invece, da un’altra intercettazione che ha come protagonista sempre Mazzara. “ Ma che c’entra la vampa?.. no gli avevo detto… un poco solo… – si rammaricava – ma no però, cosa lieve, per squagliare il gazebo. Solo a terra, tipo una fiamma piano piano… ma per questo testa di minchia abbiamo avuto sto bordello”. Carmelo Ferarra, secondo la ricostruzione degli investigatori, era stato incaricato di fare sparire le tracce. Doveva limitarsi ad incendiare il pavimento del chiosco ed invece lo distrusse del tutto.
Il 28 maggio scorso Mazzara e Pirrotta sono stati arrestati per avere allestito una piantagione di marijuana in una villetta di Piano Aci ad Altavilla Milicia. Il fatto di ritrovarsi nella stessa cella li aveva insospettiti e commentavano così: “… a noi ci hanno messo insieme per quel discorso… vogliono vedere se parla qualcuno”.
Nonostante la misura cautelare restano due nodi irrisolti. Il primo riguarda il movente del delitto che gli investigatori ritengono possa essere legato al controllo della piazza dello spaccio di droga. Il quartiere Bonagia, e in particolare i palazzoni del rione soprannominato Dallas, è da sempre un luogo di rifornimento per i tossicodipendenti di città e provincia. Un’attività fiorente e mai stroncata nonostante i continui blitz delle forze dell’ordine. Non è un caso che Mazzara, a colloquio con la madre, invocava l’intervento di tale Giuseppe per mettere in riga “qualcuno che vuole fare il capuzzello nella piazza, subito faglielo sapere, faglielo riferire a Giuseppe che sa quello che deve fare”. Emergeva poi un sottobosco abitato da giovani pusher: “A Iacuzzu il ragazzo, gli davo 400 euro a settimana, a Gianluca 150, ppoi quando esco io se la sbrigano con me”. Sul fronte droga c’è ancora molto da scoprire.
Altro nodo da sciogliere è il possibile, e tutto da verificare, collegamento fra l’omicidio Zito e l’assassinio di Pietro Liga, freddato nell’estate del 2008 con tre colpi di pistola. Del delitto era stato accusato, ma l’indagine fu poi archiviata, Maurizio Pirrotta che con la vittima avrebbe avuto un diverbio. Dell’omicidio Liga si farebbe riferimento, secondo i militari, in una conversazione intercettata tra Pirrotta e Mazzara. “Chissà come ci finisce? – dicevano -. Fatti conto che quello di là ha quattro anni ancora il motore non me l’hanno dato. Quattro anni vuol dire che ci sono ancora le cose aperte”.