Una punizione, sfuggita di mano a tre caporali, determinò la morte di Emanuele Scieri, il paracadutista di leva della Folgore, 26 anni di Siracusa, deceduto il 13 agosto 1999 nella caserma ‘Gamerra’ di Pisa. E’ l’ipotesi sulla quale lavora la procura militare di Roma che nei giorni scorsi ha perquisito il domicilio di uno dei tre ex sottufficiali, oggi quarantenne, accusati di omicidio in concorso dalla procura di Pisa e ora pure di “violenze a inferiore mediante omicidio in concorso” secondo il codice penale militare. Il giovane sarebbe infatti stato sanzionato dai tre caporali perché sorpreso a usare il cellulare all’interno della caserma, una condotta che invece era considerata vietata.
La nuova ricostruzione è stata appresa dall’avvocato Andrea Di Giuliomaria, che difende Luigi Zabara, 40 anni di Frosinone (indagato con Alessandro Panella di Cerveteri e Andrea Antico di Rimini, anche loro 40enni) raggiunto da un decreto di perquisizione che riporta il capo d’imputazione per cui la procura militare procede. Emanuele Scieri il 13 agosto 1999 era appena arrivato a Pisa dopo il periodo di Car (l’addestramento) fatto a Firenze e in serata sarebbe stato visto dai tre sottufficiali al cellulare, il cui utilizzo allora era vietato in caserma. Per questo, si anticipa nella nuova ricostruzione, i graduati lo punirono ordinandogli di scalare solo con la forza delle braccia una torretta di asciugatura dei paracadute, in un’area dismessa della caserma dove nessuno avrebbe potuto vederli e dove poi fu trovato il suo corpo privo di vita il 16 agosto.
E’ durante quell’esercizio, denominato “numero 9”, che il giovane siciliano perse l’equilibrio precipitando da un’altezza considerevole e senza che nessuno dei tre indagati si preoccupasse di soccorrerlo. Anzi, Scieri fu lasciato a terra semi incosciente e con il passare delle ore è morto senza ricevere i soccorsi che avrebbero potuto salvarlo. “Sul piano dell’ipotesi che Scieri sia stato trovato al cellulare &ndash ha commentato l’avvocato Andrea Di Giuliomaria &ndash non è mai emerso alcunché dagli atti che abbiamo potuto vedere. E ancora meno su questo ‘esercizio 9’. Non trovo alcun elemento, quindi, a conforto delle due nuove circostanze indicate dalla procura militare. Tuttavia, per noi, che proceda la procura militare o quella ordinaria, è indifferente, come indifferente ai fatti resta la posizione del nostro assistito”. La perquisizione effettuata dagli investigatori inviati dalla procura militare, secondo quanto sostenuto dall’avvocato, ha dato esito negativo e l’indagato continua a ribadire al sua innocenza. Ha, comunque, prestato il consenso a farsi prelevare un campione di Dna.
(ANSA).