Non è ancora chiaro se lo smartphone appartenga alla categoria dei dispositivi elettronici, oppure se vada piuttosto definito come appendice artificiale dell’essere umano. Non esiste situazione, luogo o contesto nel quale ci si esime dall’usarlo: mentre si aspetta il turno dal medico, durante i pasti oppure nel bel mezzo di un funerale, la mano, spinta da un istinto ossessivo-compulsivo, corre verso quel rettangolo elettronico in cui è racchiuso tutto il nostro essere. Quando ne rimane senza o se la batteria alza bandiera bianca, l’uomo è pervaso da un’angosciante sensazione di smarrimento cosmico.
È la sindrome dell’astronauta perso nello spazio: mail, agenda, conto corrente, biglietto aereo. Sta tutto lì. Le nostre tasche si sono svuotate: addio al portafogli, al taccuino e alla penna. In compenso c’è lui. Amico, complice e amante: grazie al cellulare connesso col mondo intero si coltivano le relazioni sociali, familiari e anche (o soprattutto) quelle clandestine, protette da sguardi indiscreti con doppi e tripli fondi informatici, impronte digitali, riconoscimento oculare e password inespugnabili, di fronte alle quali allargherebbe le braccia anche il mitico Agente 007.
Provate a osservare una famiglia seduta a tavola in un ristorante: dopo essersi accomodati, nel giro di tre secondi capita spesso che ciascuno si isoli nella propria bolla telematica portatile: chi legge un messaggio, chi segue la partita di calcio e chi fotografa se stesso o il piatto che ha davanti per documentare qualsiasi istante della propria vita e far sapere all’universo mondo dove si trova e cosa sta facendo in quel momento della sua esistenza terrena.
Così potente è l’abitudine a sfiorare schermi, mandare messaggi vocali da sei minuti (non si fa prima a telefonare?) e a farlo in qualsiasi istante, che durante la guida l’impulso a chattare e comunicare ci fa dimenticare la strada: stiamo più attenti alla vibrazione, allo squillo e alla faccina che, un attimo prima del botto fatale, l’amico/a ci ha inviato su whatsapp piuttosto che al semaforo, alla tromba del tir che ci viene addosso o al pedone sulle strisce.
Le statistiche parlano chiaro: l’uso del cellulare alla guida è causa di un elevatissimo numero di incidenti. Qualcuno banale: un tamponamento, uno sportello ammaccato, un “cornuto” urlato dal finestrino. Qualcun altro un po’ meno: dalle lesioni all’omicidio stradale. E qui il discorso cambia, e parecchio.
A quali conseguenze espone l’uso del cellulare alla guida? Nel corso del tempo si sono avvicendate molte proposte: dal sequestro dello smartphone, fino a pene detentive esemplari per i reati stradali aggravati dall’uso del telefonino. Queste iniziative, ispirate da qualcuna delle tante tragedie riportate dalle cronache si sono poi dissolte cammin facendo. Erano chiaramente orientate a invogliare l’essere umano ad astenersi dall’utilizzo dello smartphone quando si mette al volante.
Rimanendo aderenti al diritto vigente, e ferme restando le pesanti sanzioni pecuniarie previste dal Codice della strada per chi guida distratto dal cellulare (si va dalla multa alla sospensione della patente), l’uso del telefono non comporta uno specifico aggravamento della pena per i reati di lesione e omicidio stradale.
Le norme incriminatrici, infatti, fanno generico riferimento alla violazione delle norme sulla circolazione stradale (tra le quali certamente rientra quella di guidare mentre si usa il cellulare), e l’inasprimento della pena dipende da altri fattori (ubriachezza, uso di stupefacenti, ecc.).
Il legislatore, evidentemente, non se l’è sentita di introdurre un’aggravante specifica per chi usa il cellulare alla guida: sarà perché è ormai un’abitudine così radicata da risultare praticamente irredimibile?